Presentazione del libro “Per un mondo privo di guerre e di fame” (11/09/2005 – L. Romano)

Convegno dell’11 settembre 2005

Presentazione del libro “Per un privo di guerre e di fame” di Lorenzo Romano

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Prefazione di Salvatore Malerba

Disegnare un progetto politico innovativo per tentare di risolvere la lenta e progressiva stagnazione e recessione economica che pervade l’Italia ed altre nazioni europee, non è una cosa semplice! E’ un po’ come andare controcorrente, contro le tradizioni.

In molti, tra gli addetti ai lavori, ritengono sufficiente appena un rinfresco delle esperienze conseguite o anche solo piccoli cambiamenti di facciata per fornire un nuovo slancio al Paese ma alla luce dei fatti succedutisi in questi ultimi anni nei quali si è visto lo stravolgimento delle economie e delle situazioni politiche dominanti nel mondo, non è più possibile immaginare solo pochi e deboli correttivi o minimali azioni di “remake”

La cosiddetta “globalizzazione”, infatti, sta portando alla luce risorse inaspettate ed imprevedibili, mondi finora addormentati in un limbico letargo ed ora improvvisamente risvegliati dai successi tecnologici conseguiti dall’occidente.

Longevità, migliori condizioni di vita, guerra alle malattie endemiche, alla povertà. Sono questi i risultati che l’occidente ha già consolidato e che vorrebbe, nei suoi ideali di pace e prosperità, trasferire a quelle nazioni in via di sviluppo ma non ancora pronte per accettare indifferenti il superamento delle loro antiche usanze tribali o le loro arretratezze.

Impegnandosi in questo, l’occidente sta pagando un durissimo prezzo: il modello economico che ha condotto ai grandi risultati del XX Secolo non si presta facilmente ad essere divulgato ai quei regimi economici instabili o poco affidabili piuttosto diffusi negli altri paesi. Già si avvertono le prime avvisaglie, i pesanti sintomi del fallimento ed inoltre il primato della produzione ancora una volta sta cambiando di mano, sta migrando nuovamente verso l’estremo oriente! Disoccupazione, annichilimento delle industrie strategiche, inflazione. Tutto questo sta consumando il terreno sul quale si è costruito quell’importante edificio sociale che in questi ultimi vent’anni ha caratterizzato l’Europa.

Sorge un dilemma: allontanarsi dal modello capitalistico liberista finora adottato o chiudere la porta allo sviluppo di questi paesi emergenti nell’attesa di un loro spontaneo allineamento?

Di certo chiudere la porta non servirebbe a molto. Il modello economico occidentale, infatti, è basato essenzialmente su una generale uniformità delle regole di mercato che a livello mondiale probabilmente non sarà mai di facile attuazione data la diversità strutturale, economica e culturale dei popoli desiderosi di affacciarsi a questo nuovo benessere.

Ecco che, allora, si rende opportuno introdurre taluni importanti correttivi politici al fine d’immunizzare l’occidente da tali “attacchi” senza dover chiudere i canali necessari per lo sviluppo di tutti quei Paesi che lo desiderassero, senza gravarli degli impegni – quasi impossibili da mantenere – che a suo tempo le nazioni europee un poò ingenuamente contrassero a Maastricht.

Ciò non vuol dire rinunciare a quanto si è realizzato finora. Significa adottare misure per costruire una struttura politica e sociale sovranazionale, necessaria per rendere compatibile il modello occidentale con altri regimi, con quella gente che difficilmente abbandonerebbe le più profonde e radicate convinzioni.

Il modello proposto e che si legge in queste pagine porterebbe alla conciliazione tra due mondi, tra due politiche che da sempre sono in contrasto tra loro: da un lato il mondo occidentale, quello del capitale che ha permesso all’uomo di raggiungere i favolosi risultati tecnologici di cui tutti si è testimoni ma che per forza di cose poco si presta a risolvere i problemi umani più diffusi; dall’altro c’è il mondo della povera gente, di coloro che sopravvivono e che in qualche modo si vorrebbe e si dovrebbe aiutare.

Una più equa ripartizione delle risorse porterebbe sicuramente alla risoluzione di questi problemi ed anche in modo più indiretto all’abbandono delle guerre locali o su scala più ampia, spesso decise per fronteggiare uno stato di malessere diffuso dovuto per lo più alla notevole differenza della qualità di vita tra nazioni e nazioni, talvolta confinanti.

L’obiettivo, quindi, è grandioso ed è quello di costruire una nuova realtà, forse non la più semplice, per risolvere il problema della disoccupazione, della fame.

E’ questo il più grande tra i risultati sperati nel momento che si è progettato il modello politico ed economico descritto in questo documento il quale dovrà servire di base per promuovere un’azione, un movimento in grado diffondere e sostenere con efficacia il progetto medesimo.

Roma, marzo 2004

Salvatore Malerba