CENTRO SANDRO PERTINI - CE.S.P.
associazione nazionale di cultura, rappresentanza, promozione sociale

CONFERENZA PER LA PRESENTAZIONE DEL CENTRO SANDRO PERTINI

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  1. Il Centro Sandro Pertini è stato costituito con atto pubblico il 5/2/03.
  2. La missione ed il programma sono definiti dallo Statuto (artt. da 1 a 8) e saranno ancor meglio precisati nella Carta dei Valori e dei Principi oltre che testimoniati nell’attività quotidiana. L’acronimo è "CE.S.P.".

    Il Centro Sandro Pertini è "un’associazione di promozione sociale, di solidarietà e di cultura". È autonomo e indipendente da tutte le forze politiche ed economiche e s’ispira unicamente ai principi del libero associazionismo e del libero pensiero. Non svolge attività politica né realizza iniziative partitiche. Il Centro è un "polo multiculturale laico" in cui convergono soggetti, sensibilità ed esperienze d’origine e natura molteplici, convinti che le risposte alle distorsioni dello sviluppo, alle disuguaglianze, alle incertezze dell’età contemporanea risiedano in un radicale rinnovamento degli ordinamenti statali e dei paradigmi economici, etici, sociali, politici e filosofici dei secoli scorsi.

    E’ un "polo di raccolta di energie" per la costruzione di una rete di servizi e di opere sociali, di circoli culturali, di associazioni e di fondazioni finalizzate ad una concreta penetrazione nella realtà sociale. Ambisce al ruolo che, nei secoli scorsi, fu delle società di mutuo soccorso mazziniane e garibaldine, delle banche popolari liberali, delle cooperative e dei sindacati socialisti, delle casse rurali cattoliche, delle Università popolari, delle leghe, delle società filantropiche ed umanitarie.

    E’ indipendente dalla politica ma non indifferente ad essa e al suo futuro: soprattutto ora che gran parte dei soggetti politici e sociali italiani ricevono una finta rappresentanza da altri partiti matrioska e nessuno esprime un moderno progetto di società, né prospettive e speranze per l’avvenire e neppure si richiamano alle correnti europee ed americane.

    Il CE.S.P. non si colloca ovviamente a destra ma neppure al centro o a sinistra. I suoi Valori e la sua identità si collocano "altrove", dalla parte dell’individuo, dei deboli, della persona, della verità e della giustizia giusta, della giustizia sociale, del governo della legge, delle leggi giuste e legittime, delle libertà al plurale, del buon governo, dei diritti civili ed umani, della memoria nazionale, della democrazia repubblicana, della lotta alla miseria ed alle povertà, dell’onestà, dell’integrità, del rispetto per gli altri, della responsabilità personale, della tolleranza, della coerenza totale ai programmi ed agli ideali propugnati facendo coincidere ciò in cui si crede con il proprio comportamento. In conseguenza il CE.S.P. combatterà i privilegi e gli arbitrii economici, giuridici, politici e sociali; la corruzione politica; l’usura; la menzogna e la slealtà civile e sociale; la pervasività dell’organizzazione statale, delle burocrazie; i falsi revisionismi e la lottizzazione politica della storia; la legge ingiusta; i conflitti di interessi e gli scandali economici e finanziari; il mercato fittizio che travolge ogni regola: i prezzi, il fisco, la concorrenza, i risparmi ed i consumatori. Vigileremo su chi rifiuta l’applicazione dei principi dell’etica pubblica e non persegue il bene comune, non eleva la condizione del popolo, il potere d’acquisto e la qualità sociale.

    Lavoreremo per "democratizzare la democrazia" poiché senza l’introduzione di penetranti procedure di controllo e di partecipazione popolare, la legalità costituzionale e la democrazia politica, anziché evolvere arricchendosi di forme di democrazia economica e sociale, lasciano intravedere il capolinea e gravi problemi di uomini e di sistema.

    Opereremo consapevoli che la democrazia e la libertà resteranno una fragile conquista se non saranno profondamente radicate nel popolo e se saranno godute solo da una minoranza, se non riceveranno, con le riforme, il loro contenuto naturale che è la giustizia sociale: assicurare un lavoro ad ogni cittadino, estirpare la disoccupazione, salvaguardare la condizione giovanile e femminile, dare una casa ad ogni famiglia, tutelare la salute e la vecchiaia, garantire l’avanzamento della nazione in tutti campi del sapere e della produzione, assicurare un’istruzione universale, accessibile a tutti, ai ricchi d’intelligenza ma poveri di mezzi.

    Questi valori centrali per i singoli e per i soggetti sociali e politici, si ritrovano, emblematicamente, nella figura e nell’insegnamento di Sandro Pertini che auspicava l’avvento di una democrazia e di una libertà che non siano ridotte solo a mezzo per il potere politico, che non siano esercitate, con il voto, un solo giorno ogni tanto, ma che siano espressione di reale partecipazione di tutti i cittadini ai beni della vita ed al potere dello stato, poiché la democrazia rappresentativa non può costituire, da sola, lo strumento perfetto della convivenza civile in quanto comporta problemi di dominio delle maggioranze, delle oligarchie e delle plutocrazie, d’instabilità delle istituzioni, d’emarginazione del popolo e della sovranità che gli appartiene. Infatti nella lotta dell’uomo per il diritto, il raggiungimento della corrispondenza della giustizia con la legalità, della libertà politica con la libertà sociale del cittadino, ha, nelle moderne democrazie, il fine di ricomporre il conflitto fra società civile e stato.

    Alla coincidenza delle filosofie delle libertà, della sicurezza, della giustizia sociale, del bene comune, diamo il nome di socialismo liberale, che, in sostanza, altro non è che la repubblica spinta al suo fine vero.

  3. Giuste, pertanto, sono soltanto le leggi e le dottrine che liberano e non opprimono l’uomo, che lo liberano da ogni servitù morale e materiale, che lo rendono indipendente e libero dal bisogno, che gli consentono di restare padrone dei suoi sentimenti e dei suoi pensieri.
  4. La libertà è giusta se non è privilegiata e se si identifica con una giustizia sociale intesa come equità progressiva, sviluppo dei diritti e della legalità. Non come irreale uguaglianza livellatrice. Fra giustizia e libertà non può esservi preminenza dell’una sull’altra, perché la riduzione dei privilegi ed il riequilibrio delle garanzie richiedono istituzioni liberali che ne tutelino la trasparenza. Inoltre, i diritti di libertà sussistono solo se esiste, per tutti, l’eguale capacità di accedervi e l’uguale opportunità degli esiti. Giustizia e libertà sono aspirazioni universali e costituiscono il fondamento delle più diffuse e profonde visioni delle società, quali il socialismo ed il liberalismo. Liberalismo e socialismo non sono ideali contrastanti, ma specificazioni parallele di un unico principio etico che è il canone universale di ogni storia e di ogni civiltà: il principio per cui si riconoscono le altrui persone di fronte alla propria persona e si assegna a ciascuna di loro un diritto pari al diritto proprio. Inoltre, il socialismo è equa distribuzione di beni, ed essendo la libertà il bene più alto, il socialismo senza libertà non è socialismo. Ed il liberalismo o è libertà di tutti o non è liberalismo. Il liberalismo, perciò, o è socialismo liberale o non è liberalismo, ed il socialismo o è liberale o non è socialismo.

  5. Per Sandro Pertini lottare (sic!) per il diritto, per la giustizia e la libertà, è lottare per la democrazia, per l’avvenire e la sicurezza di tutti e di ciascuno, per le proprie idee e per i propri principi. Ma avendo presente l’ammonimento di Voltaire: "Dico al mio avversario: io combatto la tua idea che è contraria alla mia, ma sono pronto a battermi sino al prezzo della mia vita perché tu possa esprimerla la tua idea sempre liberamente". Indica tre condizioni che qualificano la democrazia. Anzitutto, non si devono creare situazioni dalle quali possano scaturire o la tirannide della maggioranza o quella di una minoranza, perché se si dà tutto il potere ai molti, essi opprimeranno i meno, se si dà tutto il potere ai pochi, essi opprimeranno i più. Da ciò discende la necessità che la democrazia si autolimiti, perché, senza la limitazione che costituisce il principio di legalità, si autodistrugge. Ed il problema della legalità e della libertà si risolve con il costituzionalismo, cioè con una legge superiore osservata anche dal parlamento ed un sistema di sindacato sulla costituzionalità delle leggi che rafforzi la funzione garantista dello Stato di diritto. La terza condizione è rappresentata dal significato di giustizia e di verità della legge, come sopra evidenziato.
  6. Tali principi restano validi anche oggi in tempi di globalizzazione.

    Le problematiche dell’economia globale e dell’evoluzione della società, le nuove ideologie del dominio, gli integralismi finanziari, politici, religiosi, lo stravolgimento delle possibilità di una buona convivenza civile, i cambiamenti della struttura del potere, la modificazione degli strumenti del consenso e del controllo sociale, pongono alle democrazie la questione se potranno e sapranno fornire risposte adeguate e convincenti. In ogni caso le democrazie liberali dovranno rinnovarsi e ridefinirsi rileggendo funzioni e limiti del governo delle società contemporanee e sviluppando forme di cittadinanza attiva e consapevole delle questioni in gioco. Anche se sono messe sotto assedio da forze globali sottratte ai condizionamenti degli Stati-Nazione in crisi di identità e di ruolo ed in cui il potere di controllo esterno agli Stati ha rotto legami antichi ed ha reso tutti più insicuri e più disuniti, non esiste altra alternativa alla necessità che siano proprio queste società a costituire un laboratorio ed un agone per nuove sfide di democrazia.

    In primo luogo vi è la necessità che una società cosmopolita organizzi il vivere insieme in una cornice culturale multietnica come risposta alla radicalizzazione dei conflitti, ai fanatismi ed alle minacce dei terrorismi con capacità di incidenza globale. In secondo luogo occorre rendersi conto che per diventare modello di riferimento per altre aree non occidentali la democrazia è difficilmente esportabile nella sola dimensione elettorale. In terzo luogo occorre prendere atto che le tradizionali espressioni della rappresentatività occidentale sono al tramonto anche a causa del prevalere di leader populisti, tv, sondaggi, lobbies, oligarchie, e plutocrazie interessati a limitare al mero consenso elettorale l’espressione democratica con il rischio di scivolare verso forme di impronta autoritaria: verso la democrazia senza libertà.

    Pertanto una democrazia rinnovata deve essere il paradigma di un nuovo sistema che si basi, certamente, sul voto democratico ma che non si limiti a regolare il solo consenso elettorale. Essa deve sostanziarsi di istituzioni autonome, di una informazione libera, d’una rete di controlli e bilanciamenti più pregnanti di quelli proposti dal costituzionalismo classico. Deve perciò divenire la forma politica di una nuova identità post democrazia classica basata su nuove regole, su valori civili moderni, su un più sicuro sistema di protezione sociale, sulla responsabilità di nuove élite liberali, socialiste e libertarie, sulla partecipazione attiva, su un nuovo ruolo da assegnare ai partiti, alle associazioni, alle comunità.

    *Di particolare delicatezza sarà la soluzione del perenne problema circa il rapporto fra democrazia e religioni, tra religioni e stato, tra credenze e legge, tra coscienza e dovere. Da una parte la fede religiosa e le sue testimonianze pubbliche: dall’altra la religione come strumento di potere.

    La religiosità non può, in una moderna democrazia multiculturale e multietnica, non essere considerata e concepita come fatto intimo di coscienza, per sua natura riservato e quasi segreto. Tanto più che ogni scelta politica nasce da convinzioni intime e che in nome di dio sono stati commessi e si continuano a commettere un’infinità di errori e di orrori.

    Nel secolo dei genocidi ed in alcune dittature la religione è divenuta simbolo di aspirazione alla libertà negata, in altre è stata simbolo e mezzo di oppressione. Nelle democrazie e nelle società tribali è strumento di interferenza, di condizionamento e di controllo sociale.

    Nessuno in occidente può disconoscere, ad esempio, l’influenza del cattolicesimo o della cultura protestante ed in particolare del calvinismo che hanno influenzato la politica, la società ed il capitalismo. Ma la religiosità in occidente non è più una competizione tra cristiani, cattolici, laici e liberi pensatori. In Europa, al tavolo tradizionale fra politica, filosofie e religioni si sono aggiunte altre religioni ed altre istanze. Tra religioni e politica si sono invertiti i ruoli: la religione non è più momento di unificazione fra situazioni diverse, ma momento di conflitto e di divisione continuata poiché l’obiettivo non è estirpare un’eresia o conquistare luoghi considerati sacri, ma impossessarsi degli ordinamenti degli stati. Fermo restando l’aperta ed assoluta libertà di culto e di espressione assumeranno rilievo le modalità con le quali si svilupperà la competizione religiosa e se essa si presenterà con le forme della politica sostituendosi alle ideologie dei secoli scorsi con lo scopo di catturare sentimenti ed aspettative anche a prezzo della disgregazione sociale.

    In una democrazia tocca all’uomo darsi le regole della convivenza civile e della tolleranza. Non si può credere che l’assenza di dio porti alla tragedia. E non si può tacere, al di là della buona fede dei governanti, il disagio di vivere in un paese in cui la religione e non la legge ha un ruolo centrale. Non vi è nulla di più pericoloso di chi in politica è convinto di agire in nome di dio ed è convinto che dio farebbe esattamente ciò che sta facendo lui, solo che fosse a conoscenza dei fatti. Naturalmente, al di là del fanatismo, permane il mistero dell’esistenza e della presenza del bene e del male. Ma…., non si può volare più alto dell’angelo custode.

  7. Sandro Pertini è un simbolo dell’unità nazionale in cui passato e futuro, tradizione e rinnovamento, memoria e speranza trovano una mirabile sintesi e suscitano passioni ed emozioni, sollecitano valori ed altruismo, diventano progetto d’avvenire, prospettiva e certezza di un possibile mondo migliore, di un ordine nuovo giusto per contenuti e priorità. Patriota, socialista, liberale e libertario da sempre, medaglia d’oro della Resistenza, capo partigiano ed eroe del secondo Risorgimento, costituente e parlamentare, segretario del Partito socialista, direttore de L’Avanti! e del Lavoro Nuovo, presidente della Camera dei deputati, definisce il socialismo un fatto di rettitudine, di buon senso, di costante fedeltà all’idea liberamente scelta, e la politica una missione da assolvere nell’interesse del paese e dei lavoratori.
  8. Sandro Pertini nel messaggio "Per un mondo nuovo e giusto", pronunciato dopo la sua elezione a Presidente della Repubblica Italiana il giorno 8 luglio 1978 con la vibrante locuzione "si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai, sorgente di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame" esprime l’indirizzo della sua presidenza (1978/1985) e la sintesi della sua azione politica.

    Per Pertini socialismo e repubblica coincidono: il socialismo, come filosofia delle libertà, della sicurezza, della giustizia, è la repubblica spinta al suo fine vero. La sua coerenza ed il suo coraggio facevano ricordare a Craxi che ""quando il Comitato esecutivo della sezione di Parigi del Partito socialista italiano, iniziando il tesseramento del 1931, invia a Turati la tessera n: 1 offrendogliela <quale segno di grande affetto e di altissima considerazione>, il vecchio capo socialista risponde ringraziando ma aggiunge: "ma a me il numero uno non spetta (hélas) che come anzianità. Mi permettete di cederlo ad un assente che deve essere presente: ad Alessandro Pertini, (il giovane antifascista rinchiuso nel fondo di un carcere italiano). Lo avrei come un favore". E di fronte alle platee insofferenti alle sue esternazioni o alle sue fustigazioni, Craxi, ancora, ne esaltava la limpida personalità rammentando che se le sue convinzioni avessero prevalso nel PSI (psiup) forse le storie del socialismo italiano, della repubblica e della sinistra avrebbero avuto un altro corso: fu contro le liste uniche del fronte popolare con il PCI, contro la scissione saragattiana di palazzo Barberini e fu il primo presidente della repubblica a rompere il monopolio dei presidenti del consiglio democristiani. Ma quando gli fu offerto di fare il presidente del partito socialista era ormai tardi per tutti. La Repubblica dei partiti e dell’antifascismo stava per essere sconvolta e sconfitta a beneficio di lobbies e di cartelli di potere, minata dalla corruzione e dal giustizialismo.

    Oggi tutti ci rallegriamo per il fatto che il leader di AN dichiari di voler liquidare definitivamente l’eredità del fascismo in nome del quale ha costruito la sua esistenza politica. Ma per liquidare quella eredità non basta una generica condanna, anche la più radicale come quella condensata nella formula del male assoluto. Occorre capire e farsi carico della complessità di quel passato, delle passioni e dei pericoli che esso ancora oggi evoca. E così pure non si esce dall’appartenenza alla comune dei partiti del comunismo con un generico e nominalistico approdo alla socialdemocrazia o ad un ambiguo riformismo, senza farsi carico di oscuri episodi, di orrori, di finanziamenti illegali, di complicità con l’URSS ed altri regimi che hanno condizionato negativamente la politica italiana frantumando la sinistra, bloccando la vita democratica, indebolendo l’interesse nazionale. I ripensamenti della storia del PCI, tutti centrati sulla mancata formazione di un grande partito socialista, peraltro dal comunismo sempre combattuto come un nemico capitale, non possono avvenire con disinvolte operazioni di rimozione dei fatti e della storia. Il falso revisionismo ha rimosso addirittura la figura di Enrico Berlinguer e al tempo stesso i sentimenti e le speranze che l’esperienza comunista aveva suscitato nel suo popolo il quale, ingannato e sconfitto, continua a rinchiudersi nel settarismo e non riesce a guardare verso la prospettiva di un grande partito di unità socialista e di una nuova società.

    Per questo non è credibile la decretazione di un enigmatico nuovo inizio ad opera di classi dirigenti autoreferenziali, oligarchiche ed inamovibili annidate in tutti i partiti cosiddetti "post", a destra come a sinistra.

    Si pensi ad esempio che gli ex PCI, oltre a patrocinare la retorica sulla RSI, per annebbiare il fatto che Togliatti è stato funzionario e complice di Stalin si sono indegnamente appropriati della storia del socialismo e della memoria "à la carte" e "quanto basta" di personalità del socialismo italiano ed hanno ingaggiato figure italiane ambiziose e discutibili.

    La sinistra si confonde ormai con gli interessi degli speculatori ed è al centro del sacco del paese avvenuto con autoprivatizzazioni alla maniera russa, con lo scempio del risparmio popolare, con il debito trasferito sui cittadini e sulle imprese perché la politica ha venduto a chi non aveva soldi. Lo scenario politico, economico e sociale italiano è affollato di soggetti che hanno tentato e tentano di cancellare la storia e di ribaltarne i giudizi piuttosto che lottare per difendere il potere d’acquisto e contro le povertà ed il degrado industriale ed economico del paese. Manca una politica economica. Le imprese si sono rifugiate nei settori protetti (tariffati) frutto delle privatizzazioni. È aperta una grave questione sociale. Il governo soffia sull’inflazione e sulla fiscalitàà. Le istituzioni sono degradate. Prosegue la manipolazione della verità e la degenerazione democratica. È interrotto il cammino dei diritti civili e delle libertà. si moltiplicano e si formano nuove istituzioni ed autonomie funzionali (ad es. università) scollegate dal nuovo non sempre positivo che vi è nel sociale (fondazioni, associazionismo, deboli, malati, poveri).

    Il paese è sul baratro ed appare inevitabile l’ora della ribellione popolare, di una sfida di sistema, di un’alternativa di classe dirigente. Sullo scenario politico italiano non esiste alcun partito nuovo che voglia recuperare la speranza. Ciò implicherebbe meccanismi di lederschip collettiva e non verticalizzazioni poiché la molecolarità della società, che è irreversibile, tritura le vecchie generiche appartenenze e richiede risposte specializzate e finalizzate. In una società molecolare, a causa della molecolarità, ci si esprime con messaggi generici ed indistinti (ad es. territorio, autonomie locali, il sociale, moltitudine, popolo, piazza). Non si diventa soggetto politico rivolgendosi alla moltitudine indistinta con parole d’ordine indistinte: pace, persona, diritti libertà. Non si creano organizzazioni di consenso radunando il popolo indistinto su parole indistinte, servano meccanismi di specializzazione.

    I soggetti politici e sociali italiani della seconda repubblica nascono, invece, sulla mistificazione della storia e sono sempre più cinici strumenti di potere. Hanno rimosso la loro memoria senza tenere conto del nuovo e delle "dure repliche della storia": ed ora il re è nudo. Le loro leaderschip interpretano in modo vistosamente caricaturale più i vizi delle maschere regionali della commedia dell’arte piuttosto che le virtù degli statisti, dei leader, degli italiani che hanno fatto l’Italia e l’Europa democratiche.

    Finirà. Speriamo. Così come finì la commedia all’italiana nello splendido tramonto settecentesco della Serenissima.

  9. Il collasso della democrazia dei partiti ed il corto circuito della democrazia tout court che si è verificato in Italia ed altrove non può significare il collasso o l’oblio delle idee e della loro storia.

    Con questa conferenza e con altre che seguiranno intendiamo guardare dentro a questa storia e proporre "un’antologia" di uomini e di donne che hanno fatto la cultura (politica, sociale, letteraria, filosofica, scientifica) dell’Italia ma che le tendenze dominanti hanno sostanzialmente rimosso.

    Si tratta di uomini e donne liberi, di vincitori e di vinti, che in nome della libertà e della giustizia hanno operato, hanno rinunciato a vincoli di partito, di parte o di amicizia, che hanno tessuto fili di pace e indicato alle plebi la via per diventare cittadini e appropriarsi della loro vita.

    La storiografia dominante ha quasi disincarnato molti personaggi riducendoli a semplici attori o comparse poiché è prevalsa la tendenza a rappresentare più i ruoli che le persone con il loro spessore di umanità. Il risultato è stato di impoverire la nostra storia e di metterne in ombra uno dei tratti più specifici: la ricchezza di forti e complesse personalità.

    Tratteremo di queste personalità, di loro opere, scritti e discorsi, di aspetti interiori, di dimensioni etiche e spirituali, di elaborazioni culturali stimolanti e sottaciute. Non si tratta di ricercare nel passato modelli per l’oggi ma di rappresentare una sfida (o uno scandalo) culturale. Tanto più forte per l’Italia di oggi e le sue aree di cinismo e di scetticismo.

    In questa operazione di equità e di verità bordeggeremo con diffidenza attorno alla storiografia etico-politica crociana la quale non è andata oltre i confini di una storiografia della classe dirigente. Il CE.S.P., e non solo, si è formato la convinzione che la problematica storiografica che riguarda l’età contemporanea, dal Risorgimento al fascismo e all’antifascismo, non può continuare a ruotare attorno alla metodologia teorica del binomio Croce-Gramsci. La tesi di Togliatti, che il movimento operaio, con la nascita del partito comunista è passato dalla preistoria alla storia dando avvio ad un processo tormentato ma inarrestato che lo ha abilitato alla funzione di classe dirigente, è falsa ed inaccettabile. Questo, però, ha voluto dire che sul piano storico i conti si fanno con Giolitti o Cavour e non con Costa, Turati, Merlino o Murri; sul piano ideale con Croce e con la cultura cattolica, non con il positivismo e con le eresie minoritarie.

    In base a ciò la storiografia ad egemonia comunista che si è affermata incontestata per lungo tempo ha costruito un’ideologia storiografica amministrata dai politici, e scritta sì dagli storici ma con tali e tante cautele che per la storia del partito comunista diventano vere e proprie inibizioni e, talvolta, perfino reticenze colpevoli e falsificazioni dei fatti.

    Oggi, finalmente, la storiografia si muove lungo due direttrici principali. Da un lato mira a riempire le pagine lasciate in bianco dalla vulgata storica precedente. Dall’altro lato ha cominciato a leggere in modo problematico le molte pagine scritte con l’inchiostro rosso o nero, ma in sostanza sempre rosa, al fine di far tornare conti che invece non possono tornare senza tenere conto delle "dure repliche della storia".

    Resta difficile, però, immaginare una ripresa di vita civile capace di superare le secche in cui sono arenate la prassi politica e le alchimie da cui far nascere la seconda repubblica, quando continua a prevalere la tendenza a cancellare il passato e con il passato il vissuto di uomini e donne che hanno reso ricca di passione, di idee, di cultura, una lunga fase della storia civile, anche di quella minore, dell’Italia.

    Il CE.S.P. non abbraccia a priori alcun tipo di revisionismo anche se lo storicismo marxista e l’uso politico della storia è ancora soffocante della realtà italiana. Tanto meno si lascia attrarre nella trappola di chi vorrebbe costruire una memoria lottizzata dai partiti, e per questo considerarla come condivisa, riconosciuta ed accettata dalla grande maggioranza.

    Abbiamo presenti e condividiamo le argomentazioni di Popper in "La miseria (povertà) dello storicismo" (1944 - 1957) contro le filosofie profetiche della storia come quelle di Hegel, di Marx o di Spengler. L’allusione è al titolo del libro di Marx "Miseria della filosofia" che a sua volta alludeva al titolo del libro di Proudhom " La filosofia della miseria". Certo è che le persone di buon senso aspirano ad una dimensione interpretativa dei fatti e delle idee realistica e verificabile. Ad una dimensione critica e razionale. Non si può affermare l’esistenza di una legge inarrestabile del mutamento storico, di una necessità storica, perché essa contrasta palesemente con la fiducia che si deve nutrire nelle possibilità di autogoverno razionale degli uomini. Neppure si può credere al sogno di portare il paradiso sulla terra, di fare un mondo perfetto e cioè all’intreccio tra storicismo e utopismo, ma unicamente alla possibilità di produrre una società più giusta e umana, più libera e meno competitiva. Si può e si deve fare un mondo migliore di quanto non sia limitandoci: a combattere la miseria, l’ingiustizia, l’oppressione, la corruzione; a ricercare e correggere gli errori prima che le conseguenze siano divenute troppo gravi per consentirne la correzione; ad evitare razionalmente l’accumulazione del potere economico e politico e di affondare nella palude della burocrazia e dell’illimitato potere dello stato.

    Per questo parleremo anche di democrazia e del suo futuro.

  10. Francesco Saverio Merlino (1856/1930).

    Nell’ambito della precisazione di idee e di filosofie per l’integrazione del popolo italiano nella nuova compagine statale l’insieme delle dottrine socialiste costituisce un impegno di elevato significato politico e culturale. Il socialismo italiano nasce in Italia avendo radici teoriche straniere, è eclettico ed è povero di elaborazioni dottrinarie compiute.

    Nello Rosselli ricorda che nel socialismo italiano delle origini confluisce l’esperienza della frangia estrema e socialmente più aperta dei repubblicani e soprattutto di una parte consistente dei garibaldini. Ma la presenza in Italia di Bakunin (1814/1876) fa si che per un periodo assai lungo (dal 1864) l’intero movimento sia egemonizzato dall’interpretazione anarchico-libertaria del socialismo. Mentre Cafiero scrive una sintesi del Capitale di Marx, Merlino e Malatesta sono gli interpreti appassionati del socialismo antistatalista e antiautoritario di Bakunin. Merlino, già anarchico, con l’eclettica "La rivista critica del socialismo" (Critica sociale è sospesa per i fatti del ’98) tenta di sviluppare il dibattito revisionistico non più legato all’osservanza marxista. Su di essa scrivono: Bernstein, Sorel, A. Costa, M. Pantaleoni, L. Einaudi, A. Labriola che successivamente promuoverà l’attacco (L. Bissolati, l’Avanti, Critica sociale) all’eresia di Merlino indignando anche A. Kuliscioff. Una raccolta di scritti (A.Venturini ecc.) è titolata: "Merlino, il socialismo senza Marx".

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