Discorso di Sandro Pertini. Apertura della Costituente Socialista (1966)

SCRITTI E DISCORSI DI SANDRO PERTINI ALLA COSTITUENTE SOCIALISTA (pag. 584)

 

 

Discorso pubblicato con il titolo La Costituente per l’unificazione socialista. Il discorso di Pertini, in “Avanti!”, 1º novembre 1966. Il 30 ottobre 1966, dopo lunghi mesi di discussioni e trattative, socialisti e socialdemocratici davano veste ufficiale all’unificazione. Il nuovo partito, che si presenterà alle elezioni politiche del 1968 con la sigla “Psi-Psdi unificati” sopravviverà, attraversato da continui contrasti e lacerazioni interne, solo fino al 4 luglio 1969.

Compagni, non voglio credere di essere stato incaricato ad aprire i lavori della Costituente socialista per la medaglia d’oro a suo tempo concessami, perché ho sempre pensato che altri partigiani di me ne fossero ben più degni. Mi piace invece credere di avere avuto questo incarico per due ragioni: perché da quarantacinque anni sono fedele al socialismo ed alla libertà, e perché fra quanti siamo qui dentro ho l’orgoglio di considerarmi il solo che veramente si sia adoperato per evitare la scissione del ’47 e che profondamente abbia sofferto quando essa si verifico. Sono sempre stato contro le scissioni, si verifichino esse a destra o a sinistra dello schieramento socialista e ho sempre pensato che nel Partito bisogna restare anche quando si e in minoranza o isolati.

Ripeto qui compagni, quello che già ebbi a dirvi altre volte: meglio aver torto con il Partito che ragione contro il Partito. Quanti anni hanno fatto perdere al socialismo ed alla democrazia le scissioni verificatesi dal 1921 in poi nel movimento socialista italiano!

Un insegnamento ci deriva da questa amara esperienza, questo: noi dobbiamo volere la libera circolazione di idee nelle nostre file; non vogliamo un Partito monolitico e quindi devono essere concesse “le correnti di idee” ma guai se queste “correnti” pensassero di organizzarsi. Avremmo dei partiti nel Partito, e nuove scissioni potrebbero verificarsi.

Certo, il metodo democratico dovrà reggere la vita del Partito unificato. Le minoranze non dovranno essere né sopportate né umiliate, ma dovranno essere considerate utili e necessarie. Un partito ove non si può avere il contraddittorio aperto e leale, il raffronto ed anche il contrasto tra le opinioni diverse, non e un partito democratico. E noi vogliamo che il Partito Socialista Unificato sia un partito democratico.

Ecco perché i molti appartenenti al mondo della cultura che si apprestano ad entrare nel Partito Socialista si troveranno a loro agio. Si sentiranno nelle nostre file uomini liberi e avranno la possibilità di esprimere sempre liberamente il loro pensiero. Non vogliamo, noi, e non sapremmo che farcene di intellettuali conformisti, perché il conformismo e in antitesi con la vera cultura. Peraltro, a mio avviso, non vi e spettacolo più pietoso e degradante dell’intellettuale che, pur di attuare personali ambizioni, si riduce ad umile servitore di un partito e di un regime. Come non vi è delitto più abominevole di quello di spegnere la fiamma dell’ingegno di uno scrittore o di un artista valendosi della forza del potere.

Ma con umiltà io vorrei rivolgere agli amici, anzi ai compagni intellettuali un’esortazione: entrati nel Partito, non si chiudano in se stessi, non restino isolati nella loro torre d’avorio, scendano alla base del Partito, prendano contatto con i nostri operai e con i nostri contadini, cerchino di comprenderne le ansie, le pene. Collaborino con il loro talento e la loro preparazione alla soluzione dei molti problemi che angustiano la classe operaia.

Accettino questa fraterna esortazione, tenendo presente che la esperienza amara dei nostri lavoratori, fatta spesso di un duro lavoro mal retribuito, di rinunzie e di sacrifici e di speranze deluse, vale quanto la loro esperienza di studiosi. Se essi nel Partito rappresenteranno il cervello, i lavoratori ne rappresenteranno l’anima. Questi nostri amici intellettuali che saremo fieri di chiamare presto “compagni”, nei loro recenti e interessanti convegni hanno spesso parlato e discusso di un rinnovamento del socialismo, di un socialismo moderno. D’accordo con loro: purché per “rinnovamento del socialismo italiano” non si intenda il rinnegamento dei principi fondamentali del socialismo.

Rinnovare, sì, i programmi, che non possono essere quelli di 70 anni fa; rinnovare l’organizzazione, che non può più essere quella volontaristica e spontanea di un tempo; ma questa ansia di rinnovamento non deve portarci a svuotare il Partito del suo contenuto socialista, se non vogliamo fare del Partito Socialista un partito di opinione. E qui non c’è nessuno che questo voglia. Socialisti siamo e socialisti intendiamo restare.

Credo poi che tutti siamo d’accordo anche su questo: che il Partito Socialista Unificato non dovrà ridursi ad una piattaforma elettoralistica e governativa. Se ciò per disavventura accadesse, su questa piattaforma non si muoverebbero uomini di fede pronti ad anteporre gli interessi del paese e della classe lavoratrice alla loro persona, ma piccoli uomini disposti a ogni compromesso con la propria coscienza e ad indossare la sudicia veste dell’opportunista pur di soddisfare i loro appetiti. Se questo accadesse, falliremmo miseramente, e i molti che oggi a noi guardano con fiducia da noi disgustati si allontanerebbero per sempre.

Io bramo, invece, pensare che da questa Costituente uscirà un forte Partito Socialista, continuatore della tradizione socialista italiana e che mai si staccherà dalla classe lavoratrice. Se ci staccassimo dalla classe lavoratrice, cesseremmo di essere socialisti.

Ricordo in proposito le parole di un socialista antesignano del socialismo, un uomo che io ho sempre considerato un maestro di vita e che ho amato con cuore di figlio, Filippo Turati, il riformista tanto bestemmiato e pianto. Egli, in un congresso socialista, ebbe a dire: “Badate, compagni, e sentitemi bene: perché il Partito Socialista sia qualche cosa di veramente serio, di attivo, di efficace, occorre che esso abbia dentro, dietro e intorno a sé un grande esercito proletario”.

Perfettamente! Un Partito Socialista che tale vuole essere e restare dovrà affondare le sue radici nella classe lavoratrice e trarre da essa la ragione prima della sua lotta e della sua esistenza.

Qui sta la risposta che dobbiamo dare a chi va insinuando che stiamo ammainando la bandiera del socialismo. La risposta a questa stolta affermazione non si da con affermazioni retoriche, si da con i fatti, si da facendo quello che abbiamo costantemente fatto durante la nostra ormai lunga esistenza, e cioè restando sempre, nei giorni di sole e nei giorni di tempesta, al fianco della classe operaia.

Dove un operaio, un contadino, un lavoratore lotta per il suo riscatto, per il suo lavoro, per il suo pane e per la libertà sul posto di lavoro, vi e sempre stato e sarà sempre il Partito socialista.

Già nel passato si lancio contro di noi l’accusa di avere tradito la causa del socialismo. Orbene, compagni, a questa calunnia noi rispondiamo con le nostre azioni. Non vi è lotta della classe operaia che non abbia visto i socialisti in prima linea e battersi senza risparmiarsi. Dunque, pur rinnovandosi come vogliono i tempi, saremo fedeli alla tradizione socialista, in una parola al socialismo.

Questa Costituente darà vita a un nuovo partito? A mio avviso essa, rimarginando le antiche ferite, ricomponendo un tessuto lacerato dalle scissioni, dovrà rendere più forte, più ricco di energie nuove, più moderno e più adatto ai tempi il socialismo italiano, la cui matrice e rappresentata dal Congresso di Genova del 1892.

Pur volendo rinnovarci, non siamo qui per rinnegare questo passato: rinnegheremmo gran parte della storia del nostro Paese, che coincide con la storia del Partito Socialista. Siamo qui con il nostro passato, con il nostro bene e il nostro male e con il fermo proposito di non tradire mai la fede socialista, che costituisce l’unica nostra vera ricchezza.

E’ stato detto anche nei nostri giorni, da compagni qui presenti, che il Partito Socialista, dopo questa Costituente, solleciterà dal corpo elettorale tali consensi da potergli consentire di porre la sua candidatura alla direzione politica del Paese. Non vedo perché questo legittimo proposito debba preoccupare tanto chi il potere detiene ormai da vent’anni (un po’ troppi, vero!). Chi si preoccupa della prospettiva che partiti democratici si alternino alla direzione politica del paese denuncia una pericolosa volontà di predominio, di monopolizzare il potere, e quindi una volontà antidemocratica. E coloro che temono questa ipotesi e questa prospettiva affermando che il Partito Socialista alla direzione politica del Paese vorrebbe dire la negazione della libertà, sanno di fare una affermazione calunniosa. Lottare come da anni fanno i socialisti, per liberare gli uomini da ogni servitù economica e sociale vuoI dire, in buona sostanza, lottare perché la libertà possa essere goduta in tutta la sua pienezza da tutti i cittadini. Se voi volete di ogni uomo fare un cittadino libero, dovete prima di tutto liberarlo dall’incubo del bisogno. Quando noi postuliamo con tanto fervore la giustizia sociale è anche perché essa costituisce la base naturale della libertà, altrimenti la libertà resterebbe una debole conquista alla mercé del primo vento di tempesta.

Affermare che noi potremmo rinnegare la libertà vuoI dire non conoscere la nostra tradizione, le nostre lotte, il nostro vero animo. I socialisti sono sempre stati devoti alla libertà ed alti prezzi hanno pagato per questa loro fedeltà. In questa sala, vi sono antifascisti, partigiani e patrioti che si sono chiaramente battuti per la libertà a rischio della loro stessa vita. Per noi la libertà è essenziale all’esistenza dei singoli, alla vita di un popolo, al divenire di una società. Non vogliamo che la nostra società sia tramutata in una caserma e per noi non vi è vero socialismo ove non vi è libertà. Siamo impregnati di amore per la libertà e se essa fosse ancora minacciata nel nostro Paese, state certi che i primi ascendere in piazza a difenderla sarebbero i socialisti. Questo è il nostro fermo proposito anche perché siamo consapevoli di questa verità: che un partito, il quale preannuncia come il nostro una nuova società, deve già da oggi recare in se quei principi e quelle norme che regoleranno la nuova società. Ecco perché da sempre il Partito Socialista nella sua vita interna ha applicato scrupolosamente il metodo democratico e pur di mantenerci fedeli a questo metodo abbiamo patito penose e gravi lacerazioni. Sappiamo perfettamente e non da adesso, che dobbiamo essere già oggi quello che saremo domani.

Così, compagni, noi dobbiamo volere che il Partito Socialista che uscirà da questa Costituente sia soprattutto un partito di galantuomini, di gente che intenda fare la politica con le mani pulite, non vogliamo che si trasformi in una accolta di piccoli uomini che considerano l’attività politica come l’occasione propizia per conquistare prebende, poltrone e per realizzare solo i loro affari. Vogliamo che resti il partito di uomini di fede che considerano la politica una missione da assolvere nell’interesse del Paese e della classe lavoratrice. L’esempio di questa rettitudine ci viene dal passato. I pionieri del socialismo furono tutti esempio di rettitudine e di onestà. Su questo punto, compagni, dobbiamo essere inflessibili anche perché il popolo italiano, le nuove generazioni sono nauseate dell’affarismo, della cupidigia di denaro, delle speculazioni dilaganti. Il popolo italiano, le nuove generazioni hanno sete di onestà e di rettitudine: vogliono che sia moralizzata una volta per sempre la vita pubblica. Questo i nostri compagni al governo devono tener presente; devono colpire senza guardare in faccia a nessuno, colpire i responsabili di azioni disoneste, anche e direi soprattutto se si tratta di amici e compagni e se si tratta di compagni la prima cosa da fare è quella di cacciarli via dalle nostre file.

Ecco perché noi ci rallegriamo che sia stato proprio un nostro caro compagno a strappare senza esitare il velo che da anni copriva disonesta, azioni illecite e speculazioni. Il nostro plauso vada al compagno Giacomo Mancini. Or non e molto, compagni, si e celebrato in Italia il Ventennale della Resistenza. Orbene, lasciate che vi ricordi come migliaia di patrioti e di partigiani abbiano lottato per un ideale con purezza di cuore, senza badare alla loro persona e senza poi chiedere alcun compenso per i sacrifici compiuti. Quanti adolescenti, quanti giovani in quella lotta hanno lasciato la vita solo per un’idea. E noi superstiti, anche a rischio di essere stupidamente definiti dei sentimentali da chi pensa solo a realizzare solo i propri affari, spesso non puliti, intendiamo restare quello che fummo allora, in esilio, in carcere, al confino, nella guerra di Liberazione: uomini di fede. Ho terminato, compagni.

Lontana da me la pretesa di avere voluto indicare la strada giusta al Partito Socialista che rafforzato uscirà da questa Costituente. Essa ci e già stata indicata da chi ci ha preceduti nella letta per la libertà e per il socialismo. Percorriamola, compagni, con fede pura e con passo sicuro senza mai dimenticare che dipende soprattutto da noi che le speranze suscitate da questa Costituente nell’animo di molti italiani non vadano deluse, ma diventino realtà.

Mancini, ministro dei Lavori Pubblici nel 3° governo Moro, intervenendo il 4 agosto 1966 alla Camera in merito alla frana abbattutasi su Agrigento, aveva coraggiosamente denunziato gli abusi. l’inosservanza delle leggi e la speculazione edilizia che avevano caratterizzato l’amministrazione della città siciliana. L’11 ottobre poi lo stesso Mancini aveva consegnato al Presidente del Consiglio la relazione della Commissione d’inchiesta sulla frana. Intervista pubblicata con il titolo Sandro Pertini. Antifascismo-azione, in “Avanti!”, 11 giugno 1967, p. 9.

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UNA LETTERA ALL'”AVANTI!”

S. Pertini, Che fine farà il Parlamento?, in “L’Europeo”, 2 giugno 1966, p. 23. Pierini attribuiva a Pertini il seguente giudizio sul ruolo del Senato: “In realtà non mi sono mai accorto in vent’anni di vita parlamentare che il Senato abbia mai corretto un grave errore legislativo della Camera dei Deputati”. Pubblicata con il titolo Rettifica all’”Europeo”. Una lettera di Peroni, in “Avanti!”, 3 giugno 1966, pp. 1 e 7. Caro Avanti!

sull’ultimo numero del settimanale l'”Europeo” sono apparse dichiarazioni sul funzionamento del Parlamento a me attribuite dal giornalista Franco Pierini. Ritengo necessario rettificare subito dette dichiarazioni perché una mia lettera in proposito all'”Europeo” sarebbe necessariamente pubblicata troppo in ritardo.

Io ebbi, in merito al funzionamento del Parlamento, una lunga conversazione con il Pierini in presenza del compagno e amico onorevole Libero Della Briotta.

Con stupore mio e dello stesso Della Briotta di quella conversazione e venuto fuori su I'”Europeo” un infelice riassunto, in cui il mio vero pensiero appare completamente deformato.

Non sono qui in gioco né l’onesta né la buona fede del giornalista Pierini, bensì la sua memoria non buona e i suoi appunti troppo frettolosi.

Inoltre, il Piertini, ponendo tra virgolette alcune sconclusionate affermazioni, lascia intendere al lettore che esse siano state da me a lui dettate così, mentre invece sono frutto, ripeto, solo della sua cattiva memoria e non corrispondono a quanto effettivamente io ebbi a dirgli.

In conclusione, le dichiarazioni apparse su l'”Europeo” e a me attribuite non rispecchiano per nulla il mio pensiero sul funzionamento del Parlamento. Grazie dell’ospitalità e saluti fraterni.

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AMAREZZE DELL’UNIFICAZIONE

Lettera a Francesco De Martino del 28 novembre 1966, pubblicata in F. De Martino, “Un’epoca del socialismo”, Firenze, La Nuova Italia, 1983, p. 458.

Mio caro Francesco, solo a te già l’ho fatto per telefono, ma in modo affrettato – posso esternare l’animo mio, perché tu mi sei sempre stato amico.

Sto attraversando un momento penosissimo, perché constato che nel nuovo partito unificato vanno prevalendo forze e mentalità socialdemocratriche. Savona, ove io iniziai, giovane, la mia lotta, ne è un indice, piccolo se vuoi, ma pur sempre significativo.

Non so quanto ancora potrò resistere, chiudendo in me stesso amarezze e delusioni. Hai ragione tu: cambiare ambiente politico, trasferendomi ad esempio, ad Ostiglia, significherebbe cadere dalla padella nella brace.

E poi verrei ripreso dalla mia insoddisfazione e mi porrei per l’ennesima volta.

Gli operai ci lasciano ed entrano al loro posto piccoli borghesi con tutte le bramosie e ambizioni personali, solo perché siamo al governo!

Di questo, però, puoi essere certo: che prima di prendere una qualsiasi decisione, ne parlerei con te e che se decidessi di andarmene, lo farei senza sbattere la porta. Ti abbraccio.

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Adesso è vice presidente della Camera e lo trovi in un salone vasto come un transatlantico, addobbato in stile Giolitti, con tappeti soffici e brutti lampadari a gocce di cristallo pendenti dal soffitto altissimo; ma basta che cada la una data – 1925, 1947 – un nome di città – Savona, Parigi – d’ergastolo o di confino – Santo Stefano, Turi, Lipari – perché lo scenario smorto e sontuoso si dissolva ed acquisti un curioso sapore d’irrealtà, mentre, come su uno schermo cinematografico scorrono altre immagini che ti sembrano più vere e presenti: un altro Sandro Pertini, con tutti i giovani turchi come Carlo Rosselli i quali, dopo l’assassinio di Matteotti, si rifiutarono al ruolo di vedove piangenti sulle macerie dell’Aventino per scommettere tutto sulla formula dell’antifascismo – azione, ché gli orologi non potevano essere riportati indietro nell’oscura giornata che era cominciata per l’Italia e l’Europa. Pagarono di persona prezzi altissimi, in galera, esilio, fame, in affetti spezzati, con la morte per alcuni di essi, ed è difficile dirlo senza retorica, ma il ricordarlo ogni tanto può guarire i complessi di superiorità che le nostre generazioni dei discorsi difficili sulla “semantica” e degli elettrodomestici possono esser tentate di nutrire a prezzo di sconto.

CARLO ROSSELLI

Carlo Rosselli e Sandro Pertini si conobbero nel 1925, nell’ufficio di Canepa, direttore del “Lavoro” di Genova, che teneva ancora testa al fascismo anche dopo il 3 gennaio. Pertini aveva gia subito un processo per una sua pubblicazione dal titolo piuttosto esplicito “Sotto il barbaro dominio fascista”. Rosselli si congratulò con lui e ne nacque un’amicizia che doveva essere insieme solido legame politico.

Carlo – ricorda Pertini – insegnava economia politica alla facoltà di economia e commercio. Non aveva nessuna aria professionale e sembrava più un amico dei suoi studenti che un insegnante. Era idolatrato dagli antifascisti. Aggredito e schiaffeggiato da un gruppo di fascisti dové lasciare l’insegnamento. Pertini lo ricorda alto, allegro, con gli occhi ironici dietro le lenti.

1926 – A casa Ronchi a Milano: Congresso clandestino del partito socialista unitario, sciolto in base alle leggi eccezionali del regime. Primo scontro fra la vecchia generazione antifascista ed i giovani. Turati accusava Rosselli di “massimalismo” per quel suo rigorismo che lo portava a volere posizioni nette e delineate: “Mi alleerei anche col Papa – diceva il vecchio leader socialista, ateo e rigidamente razionalista – anche col Papa, e sapete cosa significherebbe per me, pur di combattere il fascismo”. Ma Rosselli gli rispondeva con una spietata critica dell’Aventino, non come fatto in sé, ma per l’incapacità mostrata dalla secessione parlamentare a trasformarsi in fatto popolare, a “legarsi con la piazza”.

Rosselli era un egocentrico ed un uomo d’azione, fin da allora cominciò a disegnarsi la strada che doveva condurlo, fuori delle formazioni del socialismo tradizionale, riformista e massimalista, a costituire un suo movimento postfascista che fu poi “Giustizia e Libertà”, da cui doveva nascere quel Partito d’Azione, che nella Resistenza porto il messaggio e l’opera determinante di una tensione politica e di potergli consentire di porre la sua candidatura alla direzione politica del Paese. Non vedo perché questo legittimo proposito debba preoccupare tanto chi il potere detiene ormai da vent’anni (un po’ troppi, vero!).

Chi si preoccupa della prospettiva che partiti democratici si alternino alla direzione politica del paese denuncia una pericolosa volontà di predominio, di monopolizzare il potere, e quindi una volontà antidemocratica. E coloro che temono questa ipotesi e questa prospettiva affermando che il Partito Socialista alla direzione politica del Paese vorrebbe dire la negazione della libertà, sanno di fare una affermazione calunniosa. Lottare come da anni fanno i socialisti, per liberare gli uomini da ogni servitù economica e sociale vuol dire, in buona sostanza, lottare perché la libertà possa essere goduta in tutta la sua pienezza da tutti i cittadini. Se voi volete di ogni uomo fare un cittadino libero, dovete prima di tutto liberarlo dall’incubo del bisogno. Quando noi postuliamo con tanto fervore la giustizia sociale e anche perché essa costituisce la base naturale della libertà, altrimenti la libertà resterebbe una debole conquista alla merce del primo vento di tempesta.

Affermare che noi potremmo rinnegare la libertà vuol dire non conoscere la nostra tradizione, le nostre lotte, il nostro vero animo. I socialisti sono sempre stati devoti alla libertà ed alti prezzi hanno pagato per questa loro fedeltà. In questa sala, vi sono antifascisti, partigiani e patrioti che si sono chiaramente battuti per la libertà a rischio della loro stessa vita. Per noi la libertà è essenziale all’esistenza dei singoli, alla vita di un popolo, al divenire di una società.

Non vogliamo che la nostra società sia tramutata in una caserma e per noi non vi è vero socialismo ove non vi è libertà. Siamo impregnati di amore per la libertà e se essa fosse ancora minacciata nel nostro Paese, state certi che i primi a scendere in piazza a difenderla sarebbero i socialisti. Questo è il nostro fermo proposito anche perché siamo consapevoli di questa verità: che un partito, il quale preannuncia come il nostro una nuova società, deve già da oggi recare in sé quei principi e quelle norme che regoleranno la nuova società.

Ecco perché da sempre il Partito Socialista nella sua vita interna ha applicato scrupolosamente il metodo democratico e pur di mantenerci fedeli a questo metodo abbiamo patito penose e gravi lacerazioni. Sappiamo perfettamente e non da adesso, che dobbiamo essere già oggi quello che saremo domani. Così, compagni, noi dobbiamo volere che il Partito Socialista che uscirà da questa Costituente sia soprattutto un partito di galantuomini, di gente che intenda fare la politica con le mani pulite, non vogliamo che si trasformi in una accolta di piccoli uomini che considerano l’attività politica come l’occasione propizia per conquistare prebende, poltrone e per realizzare solo i loro affari.

Vogliamo che resti il partito di uomini di fede che considerano la politica una missione da assolvere nell’interesse del Paese e della classe lavoratrice. L’esempio di questa rettitudine ci viene dal passato. I pionieri del socialismo furono tutti esempio di rettitudine e di onesta. Su questo punto, compagni, dobbiamo essere inflessibili anche perché il popolo italiano, le nuove generazioni sono nauseate dell’affarismo, della cupidigia di denaro, delle speculazioni dilaganti. Il popolo italiano, le nuove generazioni hanno sete di onesta e di rettitudine: vogliono che sia moralizzata una volta per sempre la vita pubblica. Questo i nostri compagni al governo devono tener presente; devono colpire senza guardare in faccia a nessuno, colpire i responsabili di azioni disoneste, anche e direi soprattutto se si tratta di amici e compagni e se si tratta di compagni la prima cosa da fare e quella di cacciarli via dalle nostre file.

 

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