Al Presidente della Repubblica Francese François Mitterand

SANDRo PERTINI

PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

DISCORSI (1978 – 1985)

AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FRANCESE FRANCOIS MITTERRAND

(PARIGI 5 luglio 1982)

 

Signor Presidente,

le sue parole ed il trattamento riservatomi durante questo mio soggiorno ispirano in me – desidero assicurarglielo – i sentimenti. della più profonda commozione e vivissima gratitudine. Parole e trattamento per me – aggiungo subito – non inattesi, in quanto corrispondenti alle grandi tradizioni d’ospitalità di questo Paese; alla sua millenaria civiltà; ai rapporti che, tra le nostre due nazioni, i secoli hanno sviluppato e consolidato.

Mai ho dimenticato, Signor Presidente, l’ospitalità che la Francia generosa offrì ai fuorusciti italiani costretti a lasciare la loro patria, perché perseguitati dal regime fascista. A Parigi, io giunsi dopo una avventurosa evasione da quel grande carcere ch’era divenuta l’Italia sotto il fascismo, con il maestro del Socialismo Italiano Filippo Turati. Qui fummo accolti fraternamente. A Parigi si spense il Maestro da me, da tutti i democratici italiani, francesi, europei, amato.

Qui io trovai lavoro manuale e con i miei compagni potemmo far sentire liberamente la nostra voce di esuli.

Rientrato clandestinamente in Italia per lottare contro il fascismo fui arrestato e comparvi dinanzi al Tribunale Speciale fascista.

Quale conforto fu per me, Signor Presidente, quando all’Ergastolo di Santo Stefano mi giunse notizia che la stampa, gli uomini politici e i partiti di Francia mi manifestavano la loro solidarietà.


Pertini visitò ufficialmente la Francia dal 5 al 9 luglio 1982. Dopo aver pronunciato un breve indirizzo di saluto all’arrivo all’aeroporto di Orly, Pertini 10 stesso giorno rivolse al Presidente della Repubblica francese un discorso di cui si riproduce integralmente il testo. Il giorno successivo, rivolgendosi al sindaco di Parigi, disse tra l’altro : “Ritrovo Parigi e mi pare quasi per sortilegio di ritrovare la mia giovinezza, i puri ideali, le speranze di allora. In alcune parti il volto della città è mutato; grandi opere pubbliche sono state compiute; nuovi quartieri di audace e lungimirante concezione sono sorti, tuttavia il fascino sottile e misterioso di questa città, che da lungo tempo ho amato, ancora mi incanta e mi commuove. Ed è quindi con senso di profonda gratitudine, signor Sindaco, che mi accomiato da Lei. Ma quando le cerimonie ufficiali saranno terminate, andrò da solo a riscoprire Parigi, a rivedere i luoghi a me cari, a raccogliermi al Père Lachaise sulla tomba del grande Piero Gobetti, fiero. antifascista dal forte ingegno e dal cuore puro. Voglio da solo riscoprire Parigi, riabbracciarla, questa città amica diletta del mio cuore”. Il 6 luglio Pertini pronunciò un discorso in risposta al Presidente dell’Assemblea Nazionale Francese e l’8 luglio a Lilla, rispondendo ad un indirizzo di saluto al sindaco della città, affermò tra l’altro: “Centro operaio ed una delle culle del socialismo francese, Lilla è stata nel ventennio interbellico aperta e comprensiva verso il fuoriuscitismo antifascista italiano. Non lontano da qui, in Normandia, Carlo Rosselli perse la vita per mano fascista, insieme a suo fratello Nello. Carlo Rosselli esule a Parigi, egli aveva conosciuto uno studioso di Lilla, Rosenstock-Franck, autore di un libro fondamentale sui nefasti del corporativismo fascista. Di lui, e del suo libro, Rosselli scrisse su “Giustizia e libertà”, il periodico di lotta antifascista che egli dirigeva; ed in lui trovò un amico con cui amava spesso discutere ed un consigliere prezioso sulle questioni concernenti gli aspetti ed i fallimenti economici del fascismo”. Pertini, il 25 ottobre 1978, aveva ricevuto a Roma l’allora Presidente della Repubblica francese Giscard d’Estaing, in visita ufficiale in Italia, nel corso della quale rivolse un indirizzo di saluto.


E quando, sempre in carcere, improvviso arrivò l’annuncio della guerra dichiarata dal regime fascista alla Francia, alla nostra Patria di elezione, io piansi, Signor Presidente. Sono questi ricordi che mi vengono incontro come vecchi amici. Ma devo racchiuderli nel mio animo perché questo non è il momento di abbandonarmi a commozioni.

Al mio arrivo, ho già avuto occasione di dire quel che penso della Francia, e, come me, pensano tutti gli italiani: non solo una grande nazione, ma addirittura una “dimensione dello spirito”. Vorrei aggiungere stasera, a quella espressione, un altro significato ancora: se v’è al mondo, in questo mondo difficile e tormentato, un Paese che sia riuscito a compiere una felice saldatura tra passato ed avvenire, questo è senza dubbio la Francia. Come noi italiani, all’epoca dell’Umanesimo e del Rinascimento – quel Rinascimento di cui so essere Lei appassionato cultore – scoprimmo l’uomo ed i suoi valori, del pari la Francia all’epoca della sua Rivoluzione scoprì nell’uomo il cittadino e i suoi inalienabili diritti.

Del termine ” Rivoluzione” è stato fatto, nel linguaggio corrente, abuso e scempio. Ma Lei, Signor Presidente, che è osservatore sensibile ed attento delle vicende storiche, sa bene quanto me che non tutte le rivoluzioni sono uguali. V’è rivoluzione e rivoluzione. Alcune rappresentano un salto indietro nel buio dei secoli. Di altre la fiamma divampa, ma poi s’attenua fino a spegnersi; e non restano che braci. La più autentica delle rivoluzioni è quella che – oltre ad imprimere un colpo di timone agli accadimenti umani, una svolta alla storia – riesce anche a perpetuare la sua carica potenziale di rinnovamento della società ed a dispiegare i suoi effetti a lungo nel tempo; a sopravvivere, in una parola, alle evoluzioni e rivoluzioni successive. Capacità di sopravvivenza è dunque capacità di reagire a quelle che un noto studioso italiano, Norberto Bobbio, ha chiamato le “dure repliche della storia”; capacità di sormontare le nuove sfide intellettuali e materiali; capacità, in sostanza, di trasformarsi senza disperdere il verbo, ne pietrificarlo in dogmatismi.

La storiografia moderna ha dimostrato in abbondanza che la “Grande Revolution” rappresenta uno di questi moti autentici e profondi della storia. La sua carica non è affatto esaurita. Le sue matrici ideali, lungi dall’avvizzirsi o morire, sono tuttora patrimonio della cultura umana. Con il suo retaggio filosofico e politico. Atre rivoluzioni giunte dopo sulla scena sono dovute scendere a patti. Altre ancora dovranno comportarsi parimenti, se vorranno affermarsi. Una volta nata alla storia, la libertà dell’uomo e del cittadino non può più morire. Più che pietra miliare è macigno inamovibile. Con essa bisogna comunque fare i conti. I moti politici succedutisi in passato e quelli che seguiranno in futuro hanno dovuto è dovranno riconoscere che, se non v’è libertà e fraternità senza eguaglianza, non v’è neanche autentica eguaglianza e non v’è nessuna fraternità, senza libertà.

L’una priva dell’altra conduce diritto all’anarchia ed al dispotismo. Se dunque vera rivoluzione è quella che resiste agli assalti del tempo, quella che, oltre a precedere, anticipa e quasi ricomprende le rivoluzioni future, allora quella avvenuta due secoli fa in terra di Francia possiamo dire che è stata ed è un valore storico perenne. Grazie alla sua grande tradizione ideale tuttora viva ed operante nel mondo, questo Paese può quindi congiungere nel suo seno passato e futuro ed essere “tel qu’en lui-meme l’éternité le change”, al centro e mai ai margini della storia. Per me, Signor Presidente, questa è la Francia.

Ma, tra passato e futuro, i compiti del presente sono divenuti per noi tutti, Signor Presidente, più difficili da assolvere. Questa constatazione, non è degli ultimi giorni, né di anni, ma di decenni. La Prima grande guerra, la crisi drammatica delle libertà, il nuovo conflitto che ha straziato il cuore ed il corpo dell’Europa, i sacrifici della ricostruzione, gli squilibri economici e sociali, il divorzio tra crescita e stabilità, la disarticolazione politica e la differenziazione economica della comunità internazionale, il tramonto rapido delle prime speranze di pace, l’innalza mento di una barriera di incomprensione e di odio tra i popoli, tutto ciò è storia di ieri che allunga le sue ombre sino ad oggi ed oscura il presente. Di oggi, invece, è l’ondata di violenza e terrorismo, che pur contrastata, non accenna a finire; la serie di atti di aggressione, sopraffazione e prevaricazione a livello internazionale; la riaccensione di vecchi focolai di tensione e l’apparizione di nuovi, in zone del mondo in subbuglio, di fronte alla crescente impotenza dei Grandi, mentre riaffiora, in varie parti del globo, la tentazione autoritaria, che speravamo sepolta una volta per tutte.

Sono problemi, Signor Presidente, che non solo separano – ed a volte oppongono in armi – un popolo e l’altro, ma anche incidono in profondità sulla vita delle nostre società. La distensione s’è rivelata una meta difficile da raggiungere. La guerra è divampata in vari punti della Terra: Cipro, Cambogia, Afghanistan, Irak e Iran, sembrano quasi eventi di ieri, eppure il dramma, in ciascuno di questi paesi, continua a consumarsi. Dopo di questi, altri luoghi e paesi sono entrati nel vortice dell’odio, dell’annientamento di ogni diritto umano e civile e della stessa vita: Polonia, America Centrale, Atlantico Meridionale ed ora anche quella che un tempo veniva definita “terra d’amore”. Terra di odio oggi è divenuta. Noi a suo tempo manifestammo la nostra solidarietà fraterna al popolo d’Israele disperso per il mondo. Gli manifestammo la nostra umana solidarietà quando fu perseguitato dal nazifascismo e poi rinchiuso nel lager, conoscendo umiliazioni e morte crudele. Un mio fratello conobbe con gli Ebrei una fine straziante nel lager di Flossenburg. Ma questo popolo da tempo ha avuto una sua terra e una sua patria, rispetti adesso la terra e la patria altrui. Noi manifestammo il nostro sdegno per l’aggressione subita a Londra dall’Ambasciatore d’Israele, ma non è lecito far pagare a tutto un popolo il delitto di un suo membro, applicando la barbara legge tribale. Ribadiamo a questo riguardo che il ristabilimento della piena sovranità e indipendenza del Libano è condizione essenziale della pace, nella Regione. A queste aberrazioni e a queste violazioni del diritto delle genti spinge sempre il nazionalismo. Jean Jaures, uomo di pace, è stato assassinato dai nazionalisti dell’Action Francaise; Rathenau, uomo di pace, è stato assassinato dai nazionalisti tedeschi; Matteotti, uomo di pace, è stato assassinato dai nazionalisti italiani: la prima guerra mondiale è stata scatenata dai nazionalisti tedeschi, la Seconda guerra mondiale dal nazifascismo. Il nazionalismo è la negazione del vero amor di patria. Il nazionalismo, padre naturale del fascismo e del nazismo, si chiude in se stesso e non sente che i suoi avidi egoismi, pronto a tramutarli in sopraffazioni verso altri popoli. Il vero amore di patria presuppone l’amore delle patrie altrui. Esso è la sorgente della solidarietà internazionale.

Questa solidarietà deve prevalere se si vuole evitare la catastrofe nucleare. Viviamo in tempi calamitosi: la folle corsa al riarmo atomico continua. Come non preoccuparci di questa follia?

Io sono stato a Hiroshima. Mi sono raccolto angosciato nel ricordo di quella tremenda tragedia e costernato ho lasciato il luogo ove fu consumato l’orrendo olocausto. Hiroshima e Nagasaki, con la loro antica tragedia, sono là ad ammonire l’intera umanità e soprattutto chi di questa inquieta e tormentata umanità tiene nelle proprie mani il destino. Si dia sempre la parola alla ragione, non alle armi. I popoli della terra se coralmente potessero esprimere la loro volontà, si esprimerebbero per la pace contro la guerra. Essi sono legati alla stessa sorte: o camminare insieme sulla strada del progresso e della solidarietà umana, o insieme perire nell’abisso nucleare.

Questo è il pericolo che sovrasta l’umanità, ma noi intendiamo affrontarlo con l’animo con cui affrontammo altri pericoli e tutta la nostra vita è li a testimoniare quale è stata la forza dell’animo nostro.

Io sono cittadino italiano, ma sono anche cittadino del mondo. Mi sento quindi spiritualmente vicino con umana solidarietà a quanti nel mondo lottano per i loro diritti umani e civili; per essere uomini in piedi padroni dei propri sentimenti e pensieri e non servitori in ginocchio.

Mi sento vicino ai popoli che lottano per la indipendenza della loro Patria contro la barbara prepotenza dello straniero.

Mi sento vicino a quanti, mentre io parlo, lottano contro la fame. Milioni di creature umane, Signor Presidente, muoiono nel mondo per denutrizione. Questa strage d’innocenti pesa sulla coscienza di ogni uomo di’ Stato e quindi anche sulla mia coscienza. Si spende denaro per costruire ordigni di guerra, che se per dannata ipotesi fossero usati, determinerebbero la fine dell’umanità: si spenda quel denaro per combattere la fame nel mondo.

Ripeto anche a Lei, Signor Presidente, quello che ebbi già occasione di dire ad altri capi di Stato: “si svuotino gli arsenali, si colmino i granai”.

Questo è, Signor Presidente, il preciso momento di non abbandonarsi allo scoramento e di non disperare della pace e dell’avvenire. A sormontare crisi di questa portata occorrono idee chiare, fermi propositi, nervi saldi ed autocontrollo. occorre chiamare a raccolta tutte le capacità di analisi e di intervento di cui siamo dotati; mostrare spirito di sacrificio ed abnegazione; impedire il sopravvento dei “sacri egoismi” nazionali; coordinare ed armonizzare gli sforzi dei singoli individui e paesi, e non dimenticare che, di fronte all’immane sfida, dura e vince chi riesce a farsi carico dell’universalità dei problemi che affliggono il mondo, con una visione globale libera dalle strettoie del “piede di casa”, del gretto nazionalismo e con spirito di equilibrio, tolleranza e comprensione.

Sicuro, tolleranza e comprensione: io sono sempre stato persuaso che una diversità ed anche discordanza di voci costituisca una delle forze della democrazia. è nel contrasto delle diverse idee ed opinioni che in buona sostanza sorge l’indicazione più giusta per chi intende restare sul terreno della democrazia e procedere verso quelle riforme e rinnovamenti che della democrazia costituiscono la vera essenza.

Peraltro un vero democratico deve combattere ma anche rispettare il pensiero dell’avversario. Per quanto mi concerne io sono sempre stato fedele all’insegnamento del grande pensatore francese Voltaire. Dico al mio avversario: “io combatto la tua idea che è contraria alla mia, ma sono pronto a battermi sino al prezzo della mia vita, perché tu la tua idea possa esprimere sempre liberamente”.

Questo principio sta alla base non solo di ogni vero regime democratico, ma anche della convivenza internazionale.

Così, sul piano internazionale, occorre intensificare la concertazione in ambito occidentale e soprattutto, secondo la lungimirante proposta del Ministro Colombo, tra le due sponde dell’Atlantico, senza perdere di vista il quadro planetario. occorre rinsaldare la collaborazione ed il coordinamento delle varie politiche economiche, non di rado divergenti. Ed al riguardo osservo che il recente vertice di Versailles – di cui Lei è stato splendido ospite – s’è incamminato su questa strada. Il clima di consultazione e di rispetto mutuo è migliorato. In Europa le ultime decisioni di allineamento delle monete non sono state la conseguenza di un convulso ed agitato “parapiglia” valutario, ma il frutto di un’analisi comune, di uno sforzo di concertazione, e di un equo riparto di sacrifici fra tutti. Le linee d’azione concertate in quella occasione devono essere ribadite e difese con la massima energia.

occorre da ultimo rilanciare la distensione. E’ forse possibile affermare che il mancato o tardato rilancio di questa è in parte responsabile della recente ripresa di virulenza bellica.

Ma occorre anche non dimenticare – ed anzi render chiaro a tutti – che distensione non è cedimento e che – se l’unica alternativa alla guerra è il dialogo – è anche vero che l’unica garanzia per il successo di questo è la fermezza.

Per salvare e rilanciare la distensione, è necessario “aggredire” la sostanza delle crisi e dei focolai di tensione, che sono all’origine dell’insicurezza internazionale. Ed è quindi necessario che la costruzione politica dell’Europa prenda consistenza, in modo da permettere di avere una sua propria parola e di presentarsi davvero e finalmente unita sulla scena internazionale. Mi consenta di sottolineare in questo senso, Signor Presidente, che l’iniziativa di un Atto Europeo sarebbe un passo avanti verso questo essenziale obiettivo.

Questa auspicata iniziativa europea appare oggi non solo necessaria, ma urgente, perché nel mondo il grado di instabilità e pericolosità, invece di diminuire, aumenta. Di fronte a un simile stato di cose, Francia ed Italia sono accomunate, oggi più che mai, da una identità di ideali, valori ed interessi. Anche l’azione dei rispettivi Governi è caratterizzata da questo felice accostamento di posizioni, che riscontriamo di continuo in sede europea e comunitaria. Pur coscienti della complessità e delicatezza dell’attuale problematica internazionale, i nostri due Paesi debbono intensificare la reciproca collaborazione ed assumere, ogni volta che sia possibile, atteggiamenti concertati e concordati, capaci di coagulare un consenso più vasto in sede europea, atlantica, occidentale e nelle diverse istanze internazionali. In tal modo due grandi Nazioni, con un grande passato, saranno ancora una volta in grado di offrire un contributo essenziale al progresso e alla pace nel mondo. Malgrado tutto – i rovesci del passato, le incertezze dell’ora, le nubi all’orizzonte e le incognite del più lontano futuro – io, Signor Presidente, resto ottimista, e da vecchio combattente, come lei, per la causa della libertà, della giustizia e della pace, sento di poter affermare che non abbiamo – entrambi i nostri due paesi – lottato invano e che la battaglia merita ancora d’essere combattuta.

Con questo spirito, con questo auspicio, levo il calice, Signor Presidente, alla prosperità della Francia, ai legami sempre più stretti fra l’Italia e la Francia, al benessere personale Suo, della sua gentile Signora e alla salute di tutti i presenti.

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