Al Presidente della Repubblica Algerina (in visita ufficiale in Italia il 10 novembre 1983

AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA E POPOLARE ALGERINA

IN VISITA UFFICIALE IN ITALIA

(10 novembre 1983, Pertini visitò l’Algeria il 10 e 11 maggio 1980)

 

Signor Presidente,

con vivo piacere porgo a Lei e al popolo algerino il saluto più caloroso ed amichevole mio personale e del popolo italiano.

Ho potuto conoscere il Suo Paese splendido in riva al mare, pieno di suggestione, nel profondo sud quando all’alba e al tramonto il deserto offre uno spettacolo che non si dimentica.

Algeria ed Italia, Signor Presidente, sono accomunate dal passato, dal presente e dal futuro. Al destino parallelo dei due paesi s’accompagna una marcata affinità tra i due popoli. Entrambi reclamano una antica matrice agricolo – pastorale e vantano una tradizione marinara che, sin dal tempo dei Fenici, ha legato con nodi indissolubili le loro sorti e contribuito a creare una specie di ponte ideale tra le due sponde dell’Africa e dell’Europa. Attorno al grande bacino mediterraneo la storia ha fermentato una delle più ricche, straordinarie e avventurose civiltà del pianeta. Le sue irradiazioni spirituali, religiose, culturali, filosofiche, artistiche, politiche e sociali hanno permeato entrambi i paesi e ramificato nel resto del mondo.

In tempi recenti, la colleganza dei sentimenti s’è fatta più stretta. I nostri due popoli sono giunti all’indipendenza attraverso prove difficili, Signor Presidente, e sanguinose, dopo un lungo periodo di dominazione straniera e di oscuramento di quella luce spirituale che è l’identità di nazione. Entrambe hanno conosciuto per secoli le piaghe e le asprezze del sottosviluppo con tutto quello che ciò significa per gli individui e per le comunità. Il popolo italiano, attore e testimone del suo Risorgimento, ha fin dall’inizio intuito le ragioni ideali che portarono la nazione algerina a rivendicare la propria indipendenza ed a riassumere, in un nuovo contesto storico, il suo degno posto all’interno della grande famiglia araba. Chi, come me, non ha mai cessato di professare una profonda amicizia per la Francia, culla della grande rivoluzione, madre dei diritti dell’uomo, terra ospitale del mio esilio, ma anche simpatia e sostegno alla causa giusta dei popoli in lotta per la libertà, non può non aver salutato con sollievo la fine del conflitto franco-algerino, decisa dall’incontro tra un uomo della statura morale del Generale de Gaulle ed il coraggio, la perseveranza, l’intelligenza storica e la saggezza politica degli uomini del Fronte nazionale di liberazione algerino.

Ho potuto conoscere Lei ed i Suoi collaboratori. Lei con Boumedienne e i patrioti algerini avete saputo condurre una lotta lunga, difficile, sanguinosa, ma alla fine vittoriosa.

Il popolo algerino guidato da coraggiosi capi ha saputo conquistare la sua indipendenza e adesso ne è geloso.

Visitando Algeri con Lei, ho visto la Casbah dove si verificarono scontri violenti e sanguinosi con gli occupanti. Vinsero gli indomiti algerini sotto la guida di capi coraggiosi, sorretti da intelligenza e dalla volontà ferma e decisa di rendere libero e indipendente il Suo nobile paese. Boumedienne e Lei, Signor Presidente, foste gli animatori di questa dura lotta e alla testa del vostro popolo fiero, coraggioso, deciso ad ottenere la propria indipendenza e pronto a pagare per questo nobile scopo qualsiasi prezzo. E la vittoria fu vostra.

Va dato atto anche alla Francia che, tra lutti e dolori, seppe allora uscire dal Suo grave conflitto intimo con quella che è per tutti la più difficile delle vittorie: quella su se stessi. La nuova Algeria, che ha combattuto per essere nazione libera e sovrana, non ha mancato di rendersene conto.

Adesso non vi muove alcun rancore verso l’antico occupante.

Siete guidati da una ferma volontà di pace e dal proposito di essere amici di tutte le nazioni, arche della nazione che un tempo dominò la vostra terra e che oggi voi, dimenticata ogni sopraffazione, considerate vostra amicizia e con essa volete collaborare.

Qui sta la vostra saggezza, Signor Presidente, e il vostro coraggio: perché se una lotta per l’indipendenza della patria richiede fermezza e coraggio., mantenere indipendente e libera la patria richiede saggezza. E questa saggezza Lei e il Suo popolo dimostrate.

Ricordo i vostri soldati, deposte le armi, lavorare alla costruzione di una grande arteria che dovrebbe unire il Suo Paese alla Nigeria, giungere sino all’Atlantico e quindi unire il grande oceano al Mediterraneo.

Espressione, questa grandiosa impresa, della vostra lungimiranza, dalla vostra saggezza e della vostra volontà di pace. Azione di pace, non di guerra voi state compiendo, mentre conflitti turbano l’animo nostro e minacciano la pace nel mondo.

Opera di pace, non di guerra è anche l’edificazione nel profondo deserto algerino di un grande impianto della Nuova Pignone, dovuta ai tecnici ed operai italiani.

Un Suo Ministro che è qui presente mi accompagno a vedere questa grandiosa costruzione e sedetti poi alla mensa degli operai, stimati da voi. Signor Presidente e dal vostro popolo. Il Ministro con rammarico mi faceva osservare che, terminatane la realizzazione, gli artefici italiani avrebbero dovuto lasciare l’Algeria.

Ancora una volta gli Italiani all’estero hanno dimostrato di farsi apprezzare ed amare per la loro capacità, per l’impegno che dimostrano nello svolgere il loro lavoro e per la loro umanità.

Dalle nostre affinità antiche e recenti è emersa una grande convergenza anche nell’azione oggi svolta dai nostri due paesi sulla scena internazionale. Punto di partenza è anche la comunanza dei valori di progresso civile, giustizia sociale e impegno di pace che ispirano i due popoli e i due Governi. Orientamenti che – ripeto – interessano soprattutto l’equilibrio e la stabilità dell’area mediterranea, ma che mirano anche ad esplicare benefici effetti collaterali nei più ampi contesti europeo ed africano. Il nostro comune scopo è, Signor Presidente, di scongiurare per l’Africa i tempi terribili di guerre, rovine e sangue che contrassegnarono l’epoca degli Stati nazionali in Europa; ed è di fare tutto il possibile per consentire al giovane continente africano, ricco di promesse umane e di risorse naturali, di trovare in se stesso la forza per respingere disegni di potere estranei alla sua vita ed ai suoi veri interessi e capaci di ritardarne lo sviluppo e il progresso, con danno per la stessa Europa e l’intera umanità.

La nuova Algeria non ha tardato a comprendere questa verità dei tempi attuali; e noi apprezziamo in sommo grado il contributo fondamentale che il Suo paese offre al riguardo in seno al Movimento dei Non Allineati, dove l’Algeria è uno dei portavoce più autorevoli ed ascoltati. Con fermezza, equilibrio e indipendenza di giudizio, la dirigenza algerina ha saputo ripudiare la logica dei blocchi contrapposti e crearsi uno spazio originale nel quale riesce a muoversi con dignità ed efficacia ed a svolgere con successo un’azione volta al superamento dei rigidi schemi internazionali oggi esistenti.

Quest’azione ha trovato e trova in Italia non solo sincera stima, ma appoggio senza riserve. Il dialogo, la schietta amicizia, la concreta collaborazione tra i nostri due paesi., io stretto coordinamento delle rispettive azioni politiche costituiscono un importante contributo per alleviare nella zona a noi più vicina le tensioni internazionali. Tra Algeria ed Italia, il Mediterraneo è davvero un mare di pace; e quasi a simbolo di ciò, scorre oggi nelle sue profondità quella realizzazione gigantesca – il gasdotto, che la nostra volontà e la nostra intesa hanno trasformato in strumento vivo e operante per il benessere di entrambi e per la prosperità di altri popoli e paesi d’Europa. Non solo: ma anche le relazioni economiche, le iniziative industriali, la cooperazione tecnica fra i nostri due paesi hanno assunto una dimensione di prima grandezza sino a costituire un valido esempio di fattiva collaborazione nel dialogo Nord Sud. Siamo convinti che sarà possibile sviluppare ancora questo già favorevolissimo stato di cose. In una parola: l’Algeria, che fu in tempi passati oggetto di dominio, è oggi libera e sovrana e tende dall’altra sponda del nostro mare la sua mano all’Italia e all’Europa. Chi, di fronte a questo cambiamento, oserebbe oggi sostenere che i tempi – per lo meno qualche volta – non mutano in meglio?

Signor Presidente,

ho parlato sinora del passato e del presente. Volgerò ora lo sguardo al futuro. Questo è a volte più avaro di soddisfazioni e viceversa più largo di preoccupazioni. Ho accennato ai lutti e alle rovine che causò a noi europei la frammentazione del nostro continente tra stati nazionali in continua contesa: ed ho riaffermato il nostro sincero desiderio di risparmiare qualcosa di simile a quel vivaio di giovani nazioni che è il continente africano. In Europa, dopo secoli di tragici contrasti, un più stretto legame associativo è in via di costruzione, nel convincimento che questo assicurerà pace e benessere ai nostri giovani. Procediamo, è vero, tra difficoltà e lentezze; ma i risultati positivi esistono e sono sotto gli occhi di tutti. Continueremo quindi su questa strada; e siamo persuasi che analoghe spinte associative nell’area maghrebina, come anche una più accentuata ripresa del processo unitario del mondo arabo, costituirebbero potenti fattori di stabilità e sicurezza dell’area mediterranea e della contigua zona mediorientale. Siamo sicuri che queste esigenze trovano in Algeria tutta la considerazione che meritano. Signor Presidente,

se queste sono le speranze che noi popoli mediterranei nutriamo per il futuro. non è lecito però chiudere gli occhi di fronte ai nuovi drammatici sviluppi susseguitisi a ritmo incalzante e minacciosi per la pace in questo mare che desidereremmo aperto alla pacifica cooperazione di tre continenti; e soprattutto in quell’adiacente area mediorientale, cui dianzi ho accennato. Questa catena di eventi – non è il caso di nasconderselo – assorbe la nostra preoccupazione; ed è a questo motivo che va ricondotto il nostro recente attivo coinvolgimento in quella tormentata regione del mondo.

Per il Medio Oriente, noi siamo convinti che i problemi dell’area – caratterizzati da un’estrema complessità e dai più svariati risvolti storici, politici. religiosi ed umani – esigono la massima perseveranza ed anche la chiara consapevolezza della pratica impossibilità di una soluzione contestuale ed immediata. L’Italia intende continuare ad adoperarsi per una soluzione globale, giusta e durevole della controversia arabo – israeliana, da realizzarsi attraverso la necessaria gradualità e senza disperdere i risultati positivi già acquisiti a prezzo di sforzi e sacrifici. Di questa soluzione l’Italia non cesserà di sottolineare gli aspetti centrali, che a suo avviso sono quello della salvaguardia delle legittime attese di pace e sicurezza di tutti gli Stati della regione, Israele compreso, ma anche quello della necessità di consentire, da parte di chi ha già una patria, al sacrosanto diritto di altri di avere la loro Patria. Per esser chiaro, ciò significa che il popolo palestinese ha diritto alla patria e che questo diritto va riconosciuto. Riteniamo indispensabile non lesinare sforzi né tralasciare mezzi atti a rimettere in moto, anche a rischio di sacrifici nelle posizioni di principio, le prospettive negoziali.

Questa stessa ferma convinzione è alla base dell’impegno diretto e concreto assunto dal mio paese per la restaurazione di condizioni di normalità nel Libano. Questo Paese ha bisogno di uscire dalla spirale del terrorismo che non da oggi attanaglia e dilania la Sua infelice popolazione. Mai come in questi giorni simile assoluta necessità è apparsa in vivida e tragica luce.

Di recente sono stato a visitare il contingente italiano di pace a Beirut ed ho potuto accertare che per merito dei nostri bravi soldati e del suo valoroso comandante generale Angioni la popolazione del posto guarda alla nostra presenza nel Libano con simpatia. Il popolo libanese ha compreso, Signor Presidente, il vero animo che ha spinto noi ad inviare nel. Libano questo contingente militare e la grande umanità dei nostri soldati.

Noi lo abbiamo inviato nel Libano per vigilare sulla pace di quella regione tormentata e i nostri soldati vi sono andati quali portatori di pace. Ci rifiuteremmo di tramutarlo in un contingente di guerra.

Il popolo libanese che vive tra le rovine causate dalla guerra nel suo paese, un tempo fiorente, con Beirut già splendida città, oggi spettrale con le sue rovine, è lì ad ammonire quanto disastrose siano le conseguenze della guerra.

E anche nostra ferma convinzione che esista una stretta correlazione tra crisi libanese e conflitto arabo – israeliano. Se sarà possibile, come continuiamo a sperare, di ristabilire un assetto di pace nel Libano attraverso un attivo sostegno al dialogo di riconciliazione nazionale, il ritiro delle truppe straniere e il ripristino di una autorità centrale consolidata dalla riconciliazione stessa, che consentano al popolo libanese di tornare ad essere arbitro sovrano del suo destino, non mancheranno di manifestarsi prospettive più favorevoli anche per la ricerca di una soluzione dell’intera controversia mediorientale.

Ma le nostre preoccupazioni, in quella martoriata zona, non s’arrestano qui. La regione del Golfo, di fondamentale importanza per gli equilibri mondiali, è squassata da un sanguinoso conflitto. Due paesi, con i quali Algeria e Italia mantengono relazioni di amicizia e collaborazione, sono da tempo sconvolti da una guerra atroce e funesta per tutti. Di fronte alla gravità, pervicacia e perniciosità di questo conflitto, lo scoraggiamento prende piede. Ma noi non dobbiamo stancarci, nei limiti delle nostre forze e capacità di persuasione, di appellarci alla ragionevolezza dei contendenti per far sì che lo scempio di vite e risorse cessi e la pace abbia il sopravvento. So che l’Algeria è, su questo problema, all’unisono con i nostri sentimenti.

Signor Presidente,

un grande intellettuale francese, mancato ai vivi da pochi giorni, Raymond Aron. ricordava nel suo libro su “La tragédie algérienne” il monito memorabile di Montesquieu. che esortava ad “étre vrai partout, méme sur sa patrie. Tout citoyen est obligé a mourir pour sa patrie. Personne n’est obligé de mentir pour elle”. Quello di Aron fú, com’egli disse allora, “un appel au courage de la vérité”; e la verità da lui difesa. anche a costo di incomprensione e risentimenti nella sua stessa patria, fu quella della giustizia per i popoli oppressi e, in concreto, dell’indipendenza dell’Algeria.

Oggi, Signor Presidente, l’epoca nella quale i popoli lottavano per la loro libertà e indipendenza sembra dover appartenere al passato, ma in realtà non è ancora conchiusa, né il mondo sembra prossimo a raggiungere un assetto di stabilità. Alcuni problemi sono scomparsi; altri emergono o riappaiono; altri non sono stati eliminati mai. Antiche e recenti indipendenze cadono sotto i colpi di una nuova e diversa violenza. L’orizzonte del pianeta è di nuovo procelloso. Nubi foriere di tempesta s’addensano in questa o in quella plaga della terra. Focolai, tensioni, conflitti s’accrescono sulla vasta scena internazionale, invece di scemare.

Di fronte a questa situazione, abbiamo ancora bisogno di affrontare, come diceva Aron, “l’épreuve dans la lucidité”. Abbiamo bisogno di far appello ancora una volta al coraggio della verità, verso gli altri e verso noi stessi. La verità ha oggi un volto e un nome nuovo ed antico ad un tempo, quello della pace. Pace per milioni e milioni di esseri umani, presi nella morsa della paura, della violenza, della fame. L’Algeria, divenuta libera e sovrana dopo una lunga lotta, sa bene che nella pace può realizzare se stessa ed assicurare progresso e felicità alle sue nuove generazioni. L’Italia, con il suo carico di sventure lungo l’arco della sua storia millenaria; è decisa a impedire che l’antica condanna abbia a ripetersi. Entrambi i paesi hanno capito da un pezzo che la battaglia per la pace è l’unica degna di essere combattuta: ed hanno avviato uno sforzo concorde nel perseguimento di questo comune obiettivo. L’opera va continuata, Signor Presidente, e sviluppata da entrambi con ferma determinazione.

Noi, a due guerre mondiali abbiamo partecipato e possiamo quindi con chiara coscienza affermare che la guerra non è bella; come un nostro poeta decadente ha affermato, ma è un mostro che deve essere tenuto lontano dall’umanità. Soprattutto oggi, con. la minaccia delle moderne armi nucleari: sarebbe la fine dell’umanità.

Contro la guerra noi siamo e nessun atto volto a conservare la pace può essere considerato umiliante: non si umilia chi esalta la vita.

Ripeto quello detto ad altri capi di stato: se tutte le gemi della terra, Signor Presidente, potessero coralmente esprimere la loro volontà. tutte si esprimerebbero per la pace; tutte chiederebbero la distruzione delle armi nucleari. tutte le gemi della terra esorterebbero con ferma voce ad aiutare con i miliardi che oggi si sperperano per le armi nucleari e quindi per la fine dell’umanità, i milioni di creature umane che stanno lottando contro la fame e che di fame muoiono. La morte di queste innocenti creature pesa sulla coscienza di ogni uomo di Stato e quindi anche sulla mia coscienza.

Signor Presidente,

la Sua visita è la dimostrazione di questa comune consapevolezza e della vitale necessità della nostra collaborazione. è con questo sentimento, con questa certezza che levo il calice al benessere Suo personale e della Sua gentile signora, alla prosperità del popolo algerino, all’unione sempre più stretta tra l’Italia e l’Algeria, alla pace nel mondo.

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