Agli italiani d’Argentina (Buenos Aires, 10 marzo 1985)

AGLI ITALIANI D’ARGENTINA

(Buenos Aires, 10 marzo 1985)

 

Pertini interruppe la visita in Argentina per partecipare a Mosca ai funerali del segretario del Pcus K. Cernenko. Il programma prevedeva la prosecuzione della visita in Brasile. In sostituzione di Pertini si recò in quest’ultimo paese l’allora Presidente del Senato Francesco Cossiga. Pertini ritornò in Argentina dal 21 al 23 Maggio in visita non ufficiale recandosi a Buenos Aires e a Cordoba, proseguendo poi, per una breve visita per il Venezuela, a Montevideo.

Carissimi connazionali d’Argentina,

lungo l’arco degli ultimi centocinquant’anni milioni di italiani hanno lasciato l’Italia, chi alla ricerca di opportunità di lavoro, chi nella speranza di condizioni di vita più rispondenti ai suoi ideali e alle sue aspirazioni. Il cammino percorso da questi nostri coraggiosi fratelli ha solcato tutti gli oceani e tutte le terre e ovunque ha lasciato il segno incancellabile di una operosità e di una umanità che non temono confronti.

In nessun luogo forse il segno dell’Italia è altrettanto evidente come in questa terra, dove – con ragione è stato detto – ogni sforzo del lavoro e dell’intelligenza dell’uomo che sia riuscito a trasformare questo Paese porta il contributo di un italiano o di un figlio di italiani. Questa “grande e gloriosa Nazione”, siete voi che avete concorso a crearla. Mirabile vicenda di fusione ed osmosi di sangue, di speranze e di destini; ed unica al mondo.

Sono oggi qui in obbedienza all’imperioso richiamo di questa splendida realtà che avete costruito. Sono qui per portarvi l’abbraccio riconoscente dell’Italia lontana e l’assicurazione della sua costante e concreta solidarietà. Sono qui per testimoniare la continuità del legame che, attraverso i vostri sacrifici e quelli dei vostri padri, unisce voi tutti all’Italia. Sono qui per dirvi che l’Italia segue con partecipe e commossa attenzione le vicissitudini dell’amica Repubblica d’Argentina, il Paese dove avete scelto di vivere e operare.

Il nome di questo Paese è risuonato per molteplici generazioni di italiani come evocatore di libertà e di fratellanza. è giusto ricordare la ospitale accoglienza che in epoche per noi difficili l’Argentina ha dato agli italiani. Qui il nome del nostro Paese appare già dalla prima volta legato al nome della libertà. Qui trovarono rifugio italiani perseguitati politici, quando infuriava la lotta risorgimentale. Qui troviamo testimonianze della splendida epopea del nostro patriottismo e del fecondo innesto delle idee del socialismo umanitario. Qui trovarono asilo gli italiani anche durante il più recente periodo della dura lotta per liberare l’Italia dalla dittatura e restituirla alla libertà. Sono ricordi che commosso rivivo oggi accanto a voi fra bandiere e stendardi di circoli e associazioni, dal nome caro al cuore di ogni italiano.

Voi italiani d’Argentina avete collaborato con generosità a consolidare la meravigliosa eredità che il “Libertador” San Martin e gli altri grandi protagonisti dell’epopea dell’indipendenza argentina – Belgrano, Castelli, Beruti – hanno lasciato alle future generazioni. Alla memoria dei grandi eroi dell’Argentina, dal nome a volte riecheggiante il dolce accento dell’Italia, depongo l’omaggio che è dovuto a quanti nella storia hanno lasciato una traccia indelebile per aver dischiuso nuovi orizzonti di fraterna convivenza nazionale.

Presenti sin dalle origini di questo grande Paese. voi italiani avete continuato con il sacrificio ed il lavoro a scrivere una pagina esemplare di civiltà e di tolleranza. Forse in pochi Paesi al mondo come in questo è possibile trovare un esempio analogo di sradicamento, migrazione e trapianto di popoli, ma anche un crogiuolo di nazionalità altrettanto variegato e pur compatto e solido; che sia riuscito a svilupparsi senza traumi, discriminazioni o segregazioni. Questo è lo spirito che ha creato l’Argentina.

Il vostro contributo alla crescita di questo Paese è stato enorme e continuerà ad esserlo anche per il futuro. Altri immigrati rimasero nella città. I nostri sciamarono per il “campo”. La “pampa” sterminata non impaurì l’italiano giunto da migliaia di miglia di distanza con il suo sacco leggero in ispalla. Senza di lui, sarebbe forse ancora per tre quarti vergine e selvaggia. Non esitò, l’italiano, a dar battaglia alla natura; e – come è stato detto con calzante espressione — mostrò in quella lotta di possedere “cuore di leone, membra di ferro, rassegnazione virile, pazienza eroica, perseveranza indomabile”. Bartolomeo Mitre, il Presidente argentino umanista che tradusse Orazio e Dante, domandava: “Chi sono coloro che hanno fecondato queste dieci leghe di terreno che stringono Buenos Aires in una cintura di verde? A chi siamo debitori delle oasi di grano, dei campi di patate, delle colture arboree che rompono la monotonia della pampa? Ai contadini italiani… che sono i più abili e laboriosi coltivatori di tutta Europa. A chi dobbiamo lo sviluppo della nostra marina di cabotaggio ed il buon mercato dei trasporti fluviali? Quali sono i marinai che equipaggiano i mille bastimenti che battono bandiera argentina, chi sono coloro che compongono gli equipaggi delle nostre navi da guerra? Sono gli italiani, discendenti dagli antichi liguri, i compatrioti dello scopritore del Nuovo Mondo”.

Di più ancora: la nostra lingua, mentalità e cultura riescono qui a perpetuarsi ed espandersi a smisurata distanza dalla Patria; e persino i nostri dialetti mostrano un’intatta capacità d’imporsi anche a locali e stranieri. Notava il Console Belloc in un antico rapporto al D’Azeglio: “A Boca, avrebbe visto con senso d’amor patrio soddisfatto una piccola città di duemila anime composta di soli liguri e si sarebbe per incantesimo illuso, udendo il dialetto genovese generalmente usatovi, di vivere ancora sul litorale della solerte Liguria”. Più di recente, Sabato osservava che “un abitante di Rio della Plata è più vicino ad uno di Milano che ad uno di Quito”. la cultura fu sin dall’inizio uno dei campi di nostra maggiore attività in questo Paese. Istituti scolastici e universitari, biblioteche, archivi, musei furono organizzati da Sarmiento con il determinante concorso di italiani. Pittura e architettura recano la nostra inconfondibile impronta.

L’Italia dunque può essere orgogliosa dei suoi figli che sono riusciti a portare oltre l’Oceano in questa Nazione una simile testimonianza di laboriosità, creatività ed impegno intellettuale, morale, fisico e civile.

Carissimi connazionali,

se è giusto che l’Italia meni vanto del successo e del ruolo fondamentale avuto dagli italiani nella crescita di una grande nazione, è altrettanto giusto che voi, italiani d’Argentina, siate orgogliosi di quello che il vostro Paese di nascita o di origine è divenuto attraverso le difficili prove degli anni dal dopoguerra da oggi.

Molti di voi partirono all’indomani del terribile conflitto che straziò il nostro Paese nella carne e nello spirito. Un Paese distrutto e diviso; ma dopo quarant’anni di libera e feconda convivenza democratica, un Paese rinnovato nelle sue strutture materiali, presente nella grande sfida internazionale per le nuove tecnologie, vitale nelle sue espressioni culturali. Il miracolo dello sviluppo dell’Italia in questo dopoguerra è economico e civile al tempo stesso. E’ la riprova che la democrazia riesce a creare le condizioni necessarie e sufficienti per esprimere e realizzare tutte le energie di una comunità nazionale. Il miracolo della rinascita dell’Italia è stato soprattutto fondato sulla grande lezione della tolleranza e della libertà, nel rispetto della diversità delle opinioni e delle idee, ma anche nella simultanea e prevalente considerazione del bene supremo della fratellanza e della pace.

Ma la tragedia, cari italiani d’Argentina, non cessa mai d’incombere, sulla nostra vita di individui come su quella delle Nazioni. La democrazia non è un’invenzione miracolosa, che ponga i popoli una volta per tutte al riparo dagli eccessi dell’egoismo e della discordia. La libertà non è acquisita in eterno, come se bastasse il sacrificio di quanti riuscirono a riconquistarla. Democrazia e libertà richiedono somma vigilanza da parte di tutti; il severo quotidiano esercizio del rigore e in pari tempo della tolleranza; il permanente rifiuto della prevaricazione; la costante ricerca delle ragioni dell’unità di fronte alle spinte della divisione e della dissoluzione.

La terribile prova a cui il terrorismo ha sottoposto l’Italia negli ultimi anni, con il tragico fardello di lutti e di dolore, ha costituito per noi un drammatico richiamo a quella regola fondamentale per cui la civile convivenza – lungi dall’essere agevole godimento di un patrimonio lasciatoci in eredità dai nostri padri – è in realtà conquista di ogni giorno e frutto dell’impegno concorde di tutti.

Da questa prova, che forse non è ancora conclusa, l’Italia è uscita, segnata certo nella sua coscienza e nella sua memoria collettiva e resa consapevole dei traumi e delle ferite, ma anche vittoriosa nella sostanza. Siamo riusciti a scoraggiare quanti avevano scelto la illusoria e tremenda strada della protesta armata. Siamo riusciti a farlo senza mutare in nulla le istituzioni fondamentali dello Stato democratico, che volevamo salvare, che abbiamo salvato e che avremmo mandato alla deriva, se avessimo ceduto alla tentazione di rispondere all’illegalità con l’illegalità.

Da una prova ancor più dolorosa è da poco emersa l’amica Nazione Argentina. E’ stata una stagione tragica, che ha visto il Paese dilacerato e migliaia di famiglie colpite negli affetti più intimi. Non sta a me rievocare drammi di cui la memoria è ancor viva nella coscienza della collettività. Mi limiterò a sottolineare che l’Italia ha seguito con emozione, e spesso con il pianto, le travagliate vicende di questa terra amata.

Desidero tuttavia rivolgere agli italiani d’Argentina e attraverso questi all’intero popolo argentino una parola rasserenante di fiducia e di incitamento. Di fiducia nelle grandi possibilità di recupero e di espansione materiale e civile di questo Paese. Di incitamento a contribuire con perseveranza, nella diuturna fatica di ognuno, al rafforzamento della libertà e al consolidamento della democrazia. Dobbiamo essere consapevoli che oggi e qui sono in gioco la libertà, la democrazia, il destino di tutta l’America Latina. In questo vostro contributo all’opera di ricostruzione e rilancio, l’Italia – che non dimentica, che non dimenticherà mai il bene fatto ai suoi figli lontani – sarà vicina a questo paese con la solidarietà delle iniziative e la comunanza di antichi ideali.

Carissimi connazionali,

l’affetto da voi oggi manifestatomi, voglio considerarlo rivolto all’Italia, la patria d’origine che gioisce dei vostri successi e che progredisce anche attraverso il vostro lavoro e le vostre conquiste.

Voi che siete qui presenti portate nelle vostre famiglie e agli amici che non sono potuti venire la testimonianza di questo incontro di fraternità, di amicizia e di speranza, nella certezza che Italia e Argentina procederanno insieme sul cammino già intrapreso della libertà e del progresso. Viva l’Argentina! Viva l’Italia!

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